L' ultimo viaggio di un poeta

E' ormai consegnata alla storia la risposta che dette al doganiere Oscar Wilde sbarcando in America: "Niente da dichiarare tranne il mio genio". E' un rimando brillante che permette di entrare nella sorte di un dandy invece più triste, figlio del Nord Europa silenzioso, freddo, "un uomo nervoso dall'incedere rapido e maldestro, decisamente debole, inerme". Lo troviamo su una nave, a scrivere e conversare con altri sparsi dignitari lungo la rotta che lo porterà negli Stati Uniti: "Oh America, sovraccarica di speranze e possibilità; mi stordisce la sua gioventù atletica, la sua enorme voglia di vita, il suo eccesso di realtà; una grandezza che non sono abbastanza forte da sopportare". Figlio delle malinconie e dei crepuscoli, Bang sta per andarsene dalla vita mentre compie quel viaggio; i suoi pensieri, fra lettere e racconti qui assemblati, sono un guardare la fine, il distacco, la malattia che lo avvolge: "La sofferenza è multiforme e immortale. Quando un giorno qualche pianeta ridurrà in polvere la Terra e l'umanità sarà morta nel suo ultimo grido, nell'enorme firmamento si mostrerà solo un altro pianeta pronto a ospitare l'immortale sofferenza". Sentiva in cuore il troppo e il troppo poco, l'abiezione di egoismi inguaribili e i sorprendenti slanci delle Muse; sentiva il polso del nulla coi suoi rintocchi assordanti e l'adagio di ricordi lieti riscaldargli il sangue: "C'è chi crede che la felicità sia nell'amore, chi invece è convinto che si possa trovare nella fama. Quando uno è più anziano e si guarda indietro conosce la risposta. Ma a quel punto la vita ormai è passata". Questo era Hermann Bang, un poeta delle cose taciute,l'uomo dal profilo basso e dallo sguardo silente sui rottami del senso.Sapeva che "gli uomini si comportano tutti come la madre del principe Amleto: vanno al matrimonio con le scarpe che portavano al funerale". Grande.