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Presto con fuoco - Roberto Cotroneo - copertina
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Presto con fuoco

Dettagli

1997
Tascabile
9 settembre 1997
9788804431589

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Paolo
Recensioni: 5/5

Ho finito di rileggere il romanzo per la terza volta, ed ancora una volta è riuscito a commuovermi. Il racconto è ben costruito e ricco di sorprese, la prosa è musicale, qualcuno la ritiene stucchevole, ma a me piace. Se lo leggete ascoltando la ballata n 4 op. 52 di Chopin, diventa irresistibile.

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Claudio Esposito
Recensioni: 4/5

Ho letto con piacere e interesse il libro “Presto con fuoco”, nella collana “Bestsellers” degli Oscar Mondadori (ed. agosto 1997 - ristampa 2001). Ho tuttavia notato alcune inesattezze. Potrebbe trattarsi di licenze poetiche, ma a me sono sembrate delle vere e proprie sviste. Pag. 15, riga 8 dal basso “dunque lineare, affatto ambigua,…”; mi sembra una contraddizione. Forse doveva essere “dunque lineare, niente affatto ambigua,…” Pag. 20, ultime righe: il protagonista ricorda di avere inciso un 78 giri contenente due ballate e tre mazurche di Chopin. Ma doveva averle eseguite a velocità supersonica: la durata di un 78 giri era di circa 8 – 10 minuti! (4 o 5 minuti a facciata). Pag. 134, riga 18: “Il mio amico (e qui mi sorprendo a chiamarlo per la prima volta in questo modo)”. Ma due pagine prima (pag. 132, riga 20): “Secondo il mio amico russo…” Pag. 149, riga 22: “annotazioni agogiche” riferito a indicazioni come “a mezza voce”, “crescendo”, “dolce”, “fortissimo” (che, evidentemente, sono indicazioni dinamiche). Ho notato che “sé stesso” viene sempre scritto con l’accento (es.: pag. 31, riga 9 dal basso; pag. 35, riga 10; pag. 48, ecc.). Per coerenza ci si aspetterebbe l’accento anche in “sé stessi”. Invece a pag. 102, riga 10 dal basso, compare “se stessi” (l’unico di tutto il libro) senza accento. Infine, a pag. 227, riga 7 dal basso, c’è uno strano errore di stampa: è scritto “avvocato” invece di “avvocata”.

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Charlie
Recensioni: 4/5

Mi sorprendo sempre nel constatare come possano essere differenti i giudizi che la gente è capace di dare sul medesimo libro, certo è che la maggior parte di quelli negativi (nel caso di Cotroneo) paiono carichi di risentimento verso l'autore quasi lo si considerasse colpevole d'averci estorto a forza il prezzo di copertina. In verità penso che quando si acquista un libro - al pari di quando si entra in un cinema o in un teatro - bisogna sapersi assumere una quota di rischio e... come dire... "vivere" un po' più serenamente l'eventuale delusione. Bah, comunque, il libro in questione mi è parso decisamente bello e avvincente. Ciao

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Voce della critica


recensione di Cresto-Dina, P., L'Indice 1996, n. 3
(recensione pubblicata per l'edizione del 1995)

Il romanzo affronta il tema, centrale per ogni riflessione sulla musica, della traducibilità del linguaggio musicale in un linguaggio "altro", fatto di segni che non hanno immediate relazioni con quelli che connotano l'evento sonoro in quanto tale. Si tende solitamente a riconoscere una generica possibilità di produrre discorsi sulla musica. Più di rado ci si interroga sui presupposti di una tale ammissione, spesso fondata sulla ricerca di analogie tra il sistema dei suoni organizzati e il linguaggio inarticolato delle passioni, delle emozioni e dell'esperienza vissuta. Il problema è dunque quello dell'analogia istituita tra due modalità espressive non necessariamente sovrapponibili e in ogni caso mai del tutto coincidenti. Cotroneo evita, nel misurato monologo interiore dell'io narrante (un ascetico pianista di fama mondiale che può essere benissimo Arturo Benedetti Michelangeli), il rischio di un eccessivo assorbimento della dimensione musicale in quella poetica o letteraria, ma, da critico e studioso di letteratura quale egli è, si mostra al tempo stesso consapevole della inevitabilità del ricorso al linguaggio analogico, là dove il discorso sulla musica non voglia esaurirsi nell'analisi tecnico-armonica della partitura.
Il nostro protagonista, ormai al termine della propria carriera di interprete, riflette sulle circostanze che lo condussero una ventina di anni prima, nella Parigi dei tardi anni settanta, ad acquisire dalle mani di un enigmatico esule russo un inedito manoscritto chopiniano della quarta Ballata in fa minore op. 52. La musica assume, nell'esperienza del musicista chiamato a interpretarla, un'autonomia organica che in linea di principio si rifiuta a ogni riduzione nel linguaggio delle analogie: "Non riesco a trovare parole - dice - per descrivere quello che accade in quelle pagine finali. La forza della similitudine si stempera se messa di fronte alla grandezza di quella musica e anche alla sua difficoltà".
Le "pagine finali" sono quelle che l'autore identifica - mediante un intreccio di realtà e finzione che ricorda molto da vicino il clima del "Soccombente" di Thomas Bernhard - con una rielaborazione della coda della ballata (il "Presto con fuoco" del titolo) che si immagina compiuta da Chopin nell'ultimo anno di vita e conservata in quell'unico esemplare costituito dal misterioso manoscritto. Questa musica diviene una sorta di contrappunto dei pensieri del pianista, non un modo per parlare della passione, n‚ un romanzo sentimentale o una colonna sonora della vita, quanto piuttosto passione allo stato puro, destituita di ogni legame con il mondo dei fenomeni e della rappresentazione.
E tuttavia, paradossalmente, si viene sempre di nuovo consegnati al circolo delle analogie e delle immagini, private di ogni funzione esplicativa nei confronti del testo musicale e organizzate piuttosto come un linguaggio parallelo, benché non del tutto autosufficiente. Alcune delle figure escogitate da Cotroneo sono avvincenti: il finale della ballata diviene via via un "concitato gioco di specchi", "una corsa attraverso un labirinto musicale", la "rabbia risolutiva" di una tensione fino a quel punto controllata, qualcosa come dell'alcool gettato su una brace ardente che ha in precedenza riscaldato l'ascoltatore per dieci buoni minuti, un "gioco mentale intelligente" che non riesce più a trattenersi ed "esplode in un fuoco d'artificio dei sensi tale da stupire e quasi spaventare". E i rimandi si spingono fino a toccare le arti non musicali: viene evocata la dimensione temporale della "Sylvie" di Nerval, la pittura di Delacroix e lo stupore che suscita l'architettura delle grandi cattedrali gotiche per il viaggiatore che vi giunge dal buio delle vecchie strade, simile a quello che coglie l'interprete della Ballata al sopraggiungere di quel "Presto con fuoco" che nessuno, prima di lui, ha forse ascoltato.
Ora, la Ballata in fa minore di Chopin, scritta nel 1842, può essere considerata come uno dei capolavori della musica pianistica di tutti i tempi, come un testo nel quale senso del mistero e dramma si fondono con la più lucida consapevolezza e con la tensione più determinata verso un ideale di compiutezza formale. Si sa però che i due autografi che si sono conservati, rispettivamente a New York e a Oxford, sono incompleti. Della versione nota, affidata alle stampe con la dedica alla baronessa Charlotte de Rothschild, non è rimasto alcun manoscritto integrale. Sulla base di queste circostanze Cotroneo non costruisce soltanto la finzione di una versione tarda dell'opera, rimasta fino a oggi ignota, ma arriva a ipotizzare per essa una diversa destinazione e una diversa dedica. La vicenda umana del compositore Chopin si intreccia con quella dell'interprete odierno, a partire dalla comune relazione, spinta alle soglie della passione, con un personaggio femminile che assume per entrambi peculiare rilievo musicale. E di fronte alla carta spessa e lanosa del manoscritto si fa avanti l'idea di una calligrafia delle passioni, depositata nel segno grafico musicale: "Se il taglio di una croma è più incerto, la mia nota diviene più incerta; se marcato con più forza... allora tendo ad accentuare la forza delle mie mani sulla tastiera".
Ma pure si affaccia, come uno spettro destinato a un periodico ritorno, la possibilità del fallimento, il rischio dello scacco, l'esecuzione meccanica e priva di anima, incapace di mettersi davvero in ascolto. Un'eventualità che il narratore ha ben presente e che nel romanzo trova esemplare incarnazione nella figura del collezionista di macchine musicali, ormai lontano dal poter afferrare la passione se non come qualcosa di irrimediabilmente trascorso e in fondo mai consumato. Questa aridità che confina con il silenzio e con l'afasia - e che la musica, come una cartina al tornasole, ha il potere di mettere allo scoperto proprio nella stessa misura in cui esige di essere resa viva - rappresenta in generale una delle ricorrenti possibilità esistenziali, una dimensione tutt'altro che remota per molti di noi. Appartiene però al destino dell'interpretazione musicale l'essere quasi costretta a confrontarsi con essa, per superarla e risolverla in quella sorta di commento infinito al quale è chiamata dai propri testi. La duplicità e l'apertura al rischio che essa presuppone sono qui, come nel film di Claude Sautet dal titolo "Un cuore in inverno", che Cotroneo conosce e ama, il vero tema della narrazione.
Soltanto chi abbia una volta conosciuto il disincanto e abbia corso il pericolo di chiudersi al mondo - ci viene detto - può rendere densi i contenuti della propria vita esercitando la riflessione al servizio della passione e del trasporto.

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Conosci l'autore

Roberto Cotroneo

1961, Alessandria

Giornalista, scrittore e critico letterario italiano. Ha studiato Filosofia all’università di Torino e pianoforte al Conservatorio di Alessandria. Dal 2004 è editorialista dell’“Unità” e collaboratore di “Panorama”. Nel 2003 esce per Mondadori Chiedimi chi erano i Beatles. Lettera a mio figlio sull'amore per la musica, un racconto sulla musica vista attraverso storie, ricordi, pensieri e grandi suggestioni. Ha curato il volume delle Opere di Giorgio Bassani per la collana di classici “i Meridiani” di Mondadori (1998) e ha scritto saggi su Fabrizio De André e Francesco Guccini. Alcuni suoi racconti sono pubblicati in varie antologie. I suoi libri sono tradotti in molti paesi del mondo.Finalista al Premio Campiello...

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