Operatori e cose. Confessioni di una schizofrenica

Un romanzo importante, ma anche molto complesso, in cui l’autrice Barbara O’Brien racconta con una lucidità allarmante i sei mesi in cui era ingabbiata nella sua schizofrenia. «Avevo idea di quanto fosse insolito che qualcuno passasse ben sei mesi a girare per il paese, come avevo fatto io, senza assistenza, terapia o vero riposo, per poi liberarsi di colpo da una forma grave di schizofrenia, come avevo fatto io? Ero un caso assolutamente insolito, un mostro. Quando ero stata colpita dalla schizofrenia, il mio inconscio aveva assunto il controllo. Mi aveva guidata mentre la mia mente era in frantumi, probabilmente aveva anche contribuito a ripararla. Aveva percepito la guarigione imminente e mi aveva prontamente indirizzato verso uno studio medico dove, quando le voci mi avevano lasciato, avrei scoperto che a travolgermi era stata la follia e non gli Operatori, e dove mi sarei potuta aggrappare, con la mia mente annebbiata, a una nuova àncora in attesa che si completassero le riparazioni. Dovevo ricordare che l’inconscio era mio amico, un vero amico». Un romanzo che inizia con un taglio biografico per poi sfociare nel saggio in cui l’autrice cerca di entrate nell’universo mondo della schizofrenia, come il significato di «Operatore» (la mente inconscia) e di «Cosa» (la mente conscia) o la classificazione degli schizofrenici in catatonici (con comportamenti tipici da congelamento quasi come statue), ebefrenici (riconosciuti per il tratto della loro apatia) e paranoidi (caratterizzati dall’incessante quanto spasmodico lavorio mentale), classificazione nella quale rientra l’autrice.