Gli italiani la sanno lunga... o no!?

Lettura piacevole, spesso divertente. Mosaico della nostra identità, composto dal cosmopolita osservatore dall'esterno. Specchio che aiuta comprendere ciò che siamo, ma anche ciò che c'illudiamo di essere: i migliori, e che non sempre siamo. Un riflesso d'immagini divertenti ed amare, esenti da luoghi comuni provinciali secondo cui saremmo superiori in rapporto ad altri Popoli. Già, coltiviamo convinzioni ingannose che mascherano la cruda realtà che fa del nostro Paese un'Italietta. Ci crediamo il centro della civiltà; dovendo cambiare, ci ostiniamo a conservare eredità medievali. Succubi di politici generosi di promesse ingannevoli, fingiamo di credere e rinnoviamo con ingenua continuità il gratuito credito. Deleghiamo ai gestori i nostri doveri, ma reclamiamo diritti a prescindere dai meriti. Non sfruttiamo il nostro meglio: il capitale umano, ozioso, ormai rassegnato. Sprechiamo potenziali capacità da mettere a frutto per il benessere della Nazione. Condizionati da tanti ostacoli non arriviamo al moderno sviluppo; sempre più oppressi dall'invadenza burocratica, negligente nelle sue funzioni, indifferente ai nostri bisogni ed invece di reagire, ci limitiamo a deprecare. Mette a nudo caratteristiche che - nel bene e nel male - ci contraddistinguono; elenca vizi e superstizioni secolari di un Popolo che predilige il dolce far niente o "l'ozio creativo" esaltato da qualcuno, credendo di essere sempre i più furbi, invece, tartassati dai paternalisti, paghiamo pur di poter accomodarci e dinanzi a tale inerzia, necessità ed aspirazioni si annegano nella frustrazione. L'autore ha ragione sostenendo che ci vorrebbe una Margareth Thatcher in grado di guidarci verso il progresso, dove ognuno deve essere consapevole dei propri doveri e delle proprie responsabilità. Libro piacevole ed ironico, capace di alimentare un po' anche il nostro modesto se non scarso senso critico collettivo ed individuale che così spesso dimostriamo di non coltivare nel modo più adeguato.