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Uno dei primi "romans durs" di Simenon, nel quale già emerge tutta la maestria dello scrittore (anche se Simenon preferiva definirsi romanziere). Nonostante io prediliga le atmosfere francesi, non c'è dubbio che quest'incursione nella Georgia staliniana sia pienamente riuscita e renda ogni pagina un concentrato di angoscia, di ambiguità, di morte straordinario. Un altro titolo da consigliare a chi si desidera conoscere l'opera di Simenon.
Prestatomi da un amico e letto tutto d'un fiato. Bellissimo.
Georges Simenon, nella primavera del 1933, fece un viaggio nell’Unione Sovietica, toccando diverse località sulle sponde del mar Nero e fermandosi per otto giorni a Odessa, dove, accompagnato da una guida locale, ebbe modo di toccare con mano gli spaventosi effetti della carestia che travagliò a lungo quella nazione. Ritornato in Francia, intese parlare di quella sua esperienza , scrivendo un romanzo intitolato Le finestre di fronte che costituisce un preciso e non propagandistico atto di accusa contro il regime staliniano. In quest’opera l’autore è riuscito a rendere con straordinaria abilità una condizione di vita spersonalizzante, cupa, tenebrosa, in cui parlare era pericoloso, ma lo era anche stare zitti, in un grigiore di giorni ripetitivi in cui la popolazione locale si trascinava stancamente alla ricerca di un cibo, che già in quantità inadeguata, sovente mancava del tutto. E’ così’ una folla di cenciosi che popola le vie di Batum, la località dove è ambientata la vicenda, e non sono sufficienti gli slogan del partito comunista per incantare individui che ormai hanno perso ogni speranza. Ovunque è presente la polizia politica che vigila e schiaccia, che imprigiona e uccide, e in questo contesto avviene la vicenda del nuovo console turco Adil bey, arrivato per sostituire il precedente morto improvvisamente; lui, i consoli iraniano e italiano, e il direttore americano della Standard Oil che gestisce la raffineria di petrolio sono gli unici stranieri che risiedono in città e, a dispetto delle convenzioni internazionali, sono essi stessi prigionieri dell’invisibile ragnatela con cui le autorità li hanno avvolti. Il diplomatico turco cercherà di uscirne, coinvolgendo anche la segretaria russa di cui è innamorato; ce la farà, ma ciò che ha visto, ciò di cui è stato testimone, attore e vittima al tempo stesso, lo accompagnerà per il resto dei suoi giorni. Da leggere, è un capolavoro.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1985)
scheda di Tomasi, D., L'Indice 1985, n.10
Adil Bey è il nuovo console turco, appena arrivato a sostituire il suo predecessore morto in circostanze poco chiare a Bartum, cittadina sul Mar Nero, nei primi anni di Stalin. Bey tenta di carpire i segreti della realtà che lo circonda. Ma presto capisce che sono piuttosto gli altri a spiarlo, ad osservarlo, a rendere più esplicita la sua estraneità. Poco alla volta la narrazione - tutta costruita sul punto di vista del protagonista - assume le cadenze di un thriller metafisico. Il malessere e l'angoscia di Adil, ma anche le sue speranze di comprendere, si materializzano in quella finestra della casa di fronte al consolato dove qualcuno sembra spiarlo e dove egli stesso lancia i suoi sguardi più apprensivi. L'ambiguità che attraversa e pagine migliori del romanzo, culmina in alcune scene particolarmente intense come l'immagine del punto rosso di una sigaretta alla finestra di fronte o il modo in cui Adil scopre che qualcuno lo sta avvelenando: validi esempi di intensità rappresentativa che certamente avrebbero sedotto l'Hitchcock de "La finestra sul cortile" o de "Il sospetto". Dal procedere del racconto emerge un mondo dove "tutto era sporco: muri, mobili, carte, sporco di quella sporcizia lugubre che si ritrova nelle caserme o in certi uffici pubblici", un mondo che anticipa di quindici anni quello dell'antiutopia orwelliana di 1984, e ne trasmette lo stesso senso dl oppressione.
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