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Il corsivo è mio - Nina Berberova - copertina
Il corsivo è mio - Nina Berberova - 2
Il corsivo è mio - Nina Berberova - 3
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corsivo è mio

Descrizione


«Che ne facciamo della visione tragica della vita in cui siamo stati educati? Del tragico periodo della nostra storia? Del destino della mia patria, della mia generazione e infine del mio destino personale? Mi sembra che una risposta ci sia: la tragedia mi fu data come terreno, come base di vita: noi, nati tra il 1900 e il 1910, siamo cresciuti nella tragedia che a suo tempo è entrata in noi; per così dire l’abbiamo bevuta, ce ne siamo nutriti e l’abbiamo assimilata, ma ora che la tragedia è finita ed è iniziato l’epos, io ho il diritto, dopo aver vissuto una vita, di non prendermi troppo sul serio». Prima di giungere a «non prendersi troppo sul serio», la Berberova ha tracciato la storia della sua vita in questo libro, che apparve nel 1969 e col tempo sempre più si impone per l’intensità e la ricchezza della testimonianza. La Russia di prima, durante e dopo la rivoluzione, il mondo degli esiliati russi fra le due guerre, fra Berlino, Praga, Parigi, infine l’America, dove la Berberova è a lungo vissuta, ne sono la scena mutevole. E continuamente la vediamo attraversata da figure vivissime e disparate, fra cui riconosciamo Blok o Pasternak, la Cvetaeva o Belyj, Chodasevic o Remizov, Jakobson o Nabokov, tutti disegnati con la nettezza spavalda della narratrice. Difficile pensare un altro libro che restituisca con altrettanta precisione quell’aria del tempo, fosca e vibrante, che avvolse la vita di tanti grandi russi del nostro secolo, dispersi per l’Europa. A mano a mano che procediamo nella selva degli anni, il tempo sembra apparirci palpabilmente come quell’«ordito che non si può comperare, né scambiare, né rubare, né contraffare, né impetrare», nel quale la Berberova intesse sapientemente la sua vita, devota sin all’inizio, secondo la formula di Herzen, della «crudelissima immanenza».

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Dettagli

4
1989
3 gennaio 1989
593 p.
9788845906671

Valutazioni e recensioni

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Nina
Recensioni: 5/5

Nina Berberova non solo ci racconta fatti immaginari pieni di fantasia. Ci propone la sua affascinante autobiografia. Bravissima!

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AdrianaT.
Recensioni: 4/5

Quel mattacchione di Gor'kij le scrisse: «Penso cara Berberini [non è il T9; la chiamava proprio così] che Lei diventerà una poetessa molto originale e questo mi dà un'allegria indiavolata. Sì. C'è forse qualcosa di meglio della letteratura? No, non c'è. È la cosa più stupefacente, più misteriosa e più bella di questo mondo. Be', stia bene! Scriva di più e pubblichi di meno... A presto, a presto! Lei è un uccellino giallo che ha appena rotto il guscio, non so ancora di quale specie, ma è certamente buona. Le stringo forte la zampina.» Arrivata a lei attraverso 'Necropoli' del fragile Chodasevič, l'impatto è stato piuttosto duro: scrittura didascalia, scientifica, non coinvolgente nonostante la vita raccontata sia stupendamente movimentata e travagliata. Qui manca il calore delle parole che avvolgono il lettore e lo portano ad emozionarsi per quella vita. Non ho sentito l'anima di questa donna algida; mi sono soltanto sorbita le sue certezze, però forse questo è lo scotto da pagare quando è una donna, così detta 'di carattere' - per quel che vuol dire -, a parlare: lucida, intelligente e padrona di sé [quando una donna si esprime in termini forti e decisi passa spesso per 'odiosa', 'supponente', 'aggressiva' e 'arrogante', anche se apparentemente la si ammira; in sostanza disturba e ancora si tollera malamente], e io l'ho pagato volentieri, perché il carico di questo libro in termini di qualità di scrittura, di fatti e di attori è preziosissimo, e della sua anima, beh... francamente me ne infischio.

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alfredo
Recensioni: 5/5

Ho letto e riletto questo libro diverse volte trovandovi ogni volta motivi di interesse diversi. Si tratta di una autobiografia di grande livello ed insieme di una interessante rappresentazione del periodo storico. Non so cos'altro si aspettasse qualche commentatore.

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Recensioni

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1989)
recensione di Piretto, G.P., L'Indice 1989, n. 6

Se Nina Berbérova non fosse emigrata dall'Unione Sovietica nel 1922, non fosse approdata negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, non avesse insegnato letteratura russa a Princeton, dove oggi ottantottenne vive da pensionata, sarebbe probabilmente una delle tante "vedove dell'intelligentsia" che a Mosca e dintorni costituiscono oggi una vera e propria categoria sociale. Queste signore sono, in un paese che per interi decenni ha avuto un brutto rapporto col proprio passato, le più privilegiate detentrici di ricordi di quella classe intellettuale che per ragioni essenzialmente politiche è stata cancellata. Costituiscono uno dei pochi anelli di congiunzione tra la cultura che oggi va rinascendo e un passato che pur non essendo cronologicamente remoto, è ancora poco conosciuto e lontano. Per ovvi motivi temporali le vedove moscovite e i loro ricordi si fanno sempre più rari.
Anche in questa chiave è possibile leggere il libro della Berbérova, ma non per questo siamo autorizzati a considerare l'autrice una di queste "vedove intellettuali". Il suo rifiuto di essere ricordata è ascoltata come ex moglie di qualcuno (anche se molto amato e molto illustre: il suo primo marito fu il poeta Vladislav Chodasevic) è netto e imperioso fin dalle prime pagine del suo libro. "Questo non è un libro di ricordi. Questo libro è la storia della mia vita". Così recitano le prime parole che vengono proposte al lettore onde quest'ultimo non travisi l'intenzione dell'autrice e capisca immediatamente di avere a che fare con una donna sicura di sé, autoritaria e, perché no, un tantino superba. Questo libro di memorie giunge dopo molti altri cimenti letterari: racconti e romanzi; il lettore italiano conosce "L'accompagnatrice" (Feltrinelli, 1987), "Alleviare la sorte" (Feltrinelli, 1988), la breve ma sentita prefazione al volume di memorie del marito V. Chodasevic, "Necropoli" (Adelphi, 1985).
"Kursiv moj" vide la luce in edizione inglese nel 1969 e in russo nel 1972. Fu accolto con entusiasmo e interesse dal popolo dei russi emigrati e da quella manciata di sovietici che riuscivano a procurarsi le edizioni in 'tamizdat' (cioè edite "là", oltre frontiera). C'è da chiedersi come sia cambiata la chiave di lettura nei vent'anni che sono stati necessari per arrivare a un'edizione italiana. Allora nomi, dati, eventi avevano ancora, anche al di fuori dell'URSS, il sapore del proibito: i racconti delle "vedove" erano ambiti per l'alone di non ufficialità che portavano con sé; leggere di Pasternak, Cvetaeva, Nabokov, Belyj raccontati come esseri umani prima ancora che come poeti poteva stare per la provocazione, per la riscoperta ardita e coraggiosa di epoche e sensibilità all'indice.
Oggi, per il lettore italiano anche non addetto ai lavori, questo libro può essere, senza che ne abbia mai avuto l'intenzione, un simbolo della 'glasnost'' gorbacioviana; potrà forse accompagnare nell'operazione di riscoperta e studio del proprio passato culturale e letterario che i sovietici di oggi stanno affrontando, assieme al recupero di alcuni decenni di buio intellettuale. La lettura non offre rivelazioni sorprendenti, tratti segreti portati alla luce, ma nemmeno una banale e scontata ricostruzione della quotidianità, ormai usuale e abbondantemente riproposta in questi ultimi anni. Lo si può leggere anche come un manuale 'sui generis' di letteratura russa, rivisitata attraverso le istituzioni e le esperienze personali per chi già la conosca ma desideri arricchirne la conoscenza con sfumature e tratti non convenzionali. Non per questo l'opera letteraria perde i suoi meriti di originalità, documentazione e stile. Le pagine sulla Parigi russa illustrano la situazione non solo dell''intelligentsia' emigrata in massa, ma anche le difficoltà degli ufficiali bianchi che vivevano lavorando come operai alla Renault o dei giovani russi che il contatto con la patria l'avevano perduto irrimediabilmente.
E ancora, citando solo pochi momenti tra le pagine, la rivoluzione d'ottobre ("la vittoria di una casta di contadini ignoranti"), Gor'kij che inveisce contro i bolscevichi, la sua villa italiana a Capo di Sorrento, i giudizi su Kerenskij (che Nina Berbérova conobbe personalmente) e su Stalin. Le tappe cronologiche autobiografiche sono quasi sempre segnate dalla letteratura: l'incontro, in giovane età, ad una serata di poesia con Anna Achmatova, la "bellissima dama" blokiana che assume le fattezze reali e "pesanti, piene" di Ljubov' Dmitrevna, moglie di Blok, Majakovskij macho esibizionista, ecc. Nomi e personaggi non sono distanti e idealizzati, ma concreti e umani, pur senza perdere l'alone mitico quando, a detta della Berbérova, ne abbiano meritato uno.
Questo atteggiamento nei confronti della storia, della letteratura, di tutti gli eventi e i personaggi narrati, è il filo rosso che li collega tra di loro. Dai primi anni di potere sovietico in Russia, a quelli di Parigi e poi di Berlino, russa più che germanica, per finire con l'esperienza americana, la protagonista in prima persona è sempre lei, Nina Nikolaevna Berbérova. Riesce difficile crederle quando afferma di non aver scritto un'autobiografia, "perché l'autobiografia, a differenza delle memorie, è palesemente egocentrica". La sua presenza, anche fisica, da quella bella donna che è stata, si impone al lettore. Ce la si sente accanto, con il suo carattere aggressivo e dominante, dagli anni nell'inevitabile Pietroburgo, fonte delle prime emozioni letterarie, luogo dell'incontro con Chodasevic, ai tempi di Parigi durante la seconda guerra mondiale, all'arrivo in America segnato dall'entusiasmo tipico dell'europeo uscito dalla catastrofe di una guerra, di fronte al progresso, alla potenza, agli spazi americani.
La ricostruzione storica della Berbérova non indulge in esotismi o luoghi comuni. L'essenzialità e la disinvoltura con cui procede e giudica, che paiono eccessive e giungono ad essere irritanti all'inizio, diventano ben presto una delle maggiori qualità dell'opera, e il lettore smette di chiedersi se sia davvero così importante questa donna (è questa la sua caratteristica precipua, prima che l'essere poetessa e scrittrice) per leggere tante e tante pagine sulla sua vita. Nina Nikolaevna rifiuta le avanguardie e le anormalità fine a se stesse. Non plaude con facile entusiasmo alla vitalità degli anni dieci e ai loro fermenti culturali. Non cerca di piacere, di conquistare chi la legge; pare quasi godere nel dipingersi altezzosa ed egoista.
Il titolo dell'ultimo capitolo, "Senza aspettare Godot", è la miglior illustrazione della sua filosofia di vita, del suo stile letterario: quello di una donna energica che anche dalle pagine di un libro non rinuncia a far trasparire l'ansia creativa ed esistenziale che l'ha finora accompagnata, mentre si caratterizza con tratti di profonda umanità, in attesa "dell'ultima sconosciuta esperienza" che da lungo tempo ha accettato e che ormai non le fa più paura "già per la sola ragione di essere inevitabile".
Il volume è corredato da un ricco regesto, redatto dall'autrice, dove sono passati in rassegna molti dei personaggi citati nel corso dell'opera, che aiuta ad orientarsi chi con la cultura russa del '900 non abbia molta dimestichezza.
Oggi alcune pagine di "Kursiv moj" sono state pubblicate in Unione Sovietica sulla rivista "Voprosy Literatury"; l'autrice è stata invitata in Urss dove terrà delle conferenze e rivisiterà luoghi, anche se non persone, che era riuscita a rivivere soltanto nelle pagine del suo libro.

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Conosci l'autore

Nina Berberova

1901, Pietroburgo

Nina Berberova (1901-1993), scrittrice russa naturalizzata statunitense, è autrice di romanzi, saggi e poesie. Nata a San Pietroburgo, frequentò in gioventù il gruppo degli acmeisti, traendone quel gusto per la chiarezza e la precisione che attraversa tante sue opere, dalle biografie (di Cajkovskij, Borodin, Blok) alle ricostruzioni storiche (Storia della baronessa Budberg, 1980), all’autobiografia Il corsivo è mio (1972). Lasciò la Russia sovietica nel 1922, con il poeta Vladislav Chodasevic; visse a lungo a Parigi ma nel 1950 emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò a Yale e a Princeton. Agli anni Ottanta risale la «scoperta» della sua narrativa, che raffigura con limpidezza la condizione esistenziale degli émigrés...

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