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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2008
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Una storia di emarginazione sociale, pur con segnali di speranza, ambientata in un campo nomadi ai margini di una grande città italiana, popolato da rom e profughi di varie nazionalità, con storie diverse alle spalle. Originale il punto di vista della narrazione, condotta in prima persona dall'ultimo arrivato, un gitano ungherese, in fuga dopo essersi vendicato di chi tradì la sua famiglia ai tempi del nazismo. Porta con sé gli attrezzi che è riuscito a recuperare del glorioso circo di suo nonno, di cui narra la storia ai bambini dell'accampamento, che incuriositi e affascinati, avvicinandosi alle discipline circensi impareranno a credere in se stessi. Un particolare stilistico che ho trovato interessante: i dialoghi sono resi vivi grazie all'inserimento di numerose parole, frasi ed espressioni in lingue e dialetti differenti (dall'ungherese, al rumeno, all'albanese). Degno di nota l'omaggio dell'autrice ad alcuni circensi italiani da lei coinvolti durante le sue ricerche: il libro è dedicato "a Roldano Biasini e Olimpia Della Veglia, a Romi e Angelo, per quel trapezio conservato come un sogno". Inoltre, nei ringraziamenti cita: "gli amici del Circo do Brasil e Gerardi Jasmin, per la sincera accoglienza; la famiglia Biasini, per la magia dei racconti e l'ospitalità indimenticabile"...
Un romanzo che è davvero un atto di resistenza civile fatto attraverso il circo e la giocoleria.E' un romanzo di intercultura e di ricerca di ciò che unisce le diverse identità di una società multietnica proprio attraverso il ricorso al linguaggio dei nomadi e della loro storia. Io lo vedo come come una risposta importante da dare oggi a questo clima di intolleranza e di ferocia.
M. Magnani, Il circo capovolto, ed.Feltrinelli “Il Circo capovolto” può sembrare, a prima vista, il racconto di una cronaca di ordinaria delinquenza ai margini delle periferie delle grandi città: un regolamento di conti tra bande di nomadi sullo sfondo di squallidi interessi legati allo spaccio di droga. La scena è quella facilmente immaginabile di un campo-nomadi, con il suo triste contorno di sporcizia, disordine materiale e morale. Ma il racconto, fin dalle prime righe, insegue altre piste, attento ad ascoltare gli echi profondi di storie e luoghi lontani, di sentimenti ed emozioni epifanici. Così si scopre un’ampia varietà di temi che si intersecano nella trama narrativa. Tra essi spicca l’asse portante della memoria, intesa in un’accezione familiare/tribale. E’ quella memoria che va preservata soprattutto in contesti storici di straordinaria drammaticità (è il caso della indimenticabile esperienza della persecuzione nazista delle etnie nomadi nel campo di Birkenau). Proprio in quel disegno abominevole e, allo stesso tempo, ingenuo di poter cancellare la memoria di un intero popolo eliminandolo geneticamente, ha valore la solenne consegna alla sopravvivenza fatta dal nonno al padre, dal padre al figlio. E il potere della memoria è quello che suscita o resuscita la storia e la fantasia degli uomini, la creatività di un popolo. E la poesia, sublime espressione di questa creatività, è quella che si sprigiona magicamente dal circo, uno spettacolo che non è solo slancio di corpi allenati, ma espressione di istinti gioiosi e vitali, profondo anelito alla libertà: un inno alla vita che si identifica con l’archetipo della cultura nomade. Ma la trasmissione memoriale richiede obbedienza a regole ancestrali, quindi inflessibili: il gravame dei torti subiti dai padri ricade sulla vigorosa esuberanza dei figli, destinati a ricomporre equilibri violati. E’ la legge del sangue e della vendetta personale, tremenda ed accecante, che non ascolta le ragioni e le regole dei codic
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