Cavalli selvaggi

John Grady Cole è un cowboy sedicenne cresciuto nel ranch dei nonni nel Texas occidentale. Poiché il ranch sarà venduto, John Grady sceglie di fuggire, convincendo il suo amico, Lacey Rawlins ad accompagnarlo nella sua avventura. Si mettono in viaggio per raggiungere a cavallo il Messico, sperando di trovare lavoro come cowboy. Poco prima di attraversare la frontiera messicana, i due incontrano il tredicenne Jimmy Blevins, che cavalca uno splendido baio, che dichiara di sua proprietà. Dopo aver attraversato la frontiera con il Messico, un temporale terrorizza Blevins, che fugge perdendo il cavallo, la pistola e il resto dei suoi oggetti personali. Blevins ritrova il cavallo. Rawlins e John Grady riescono a trovare lavoro in un grande ranch. Qui John allaccia una relazione sentimentale con Alejandra, del proprietario del ranch. Blevins, tornato al villaggio dove gli era stato rubato il cavallo, spara e uccide un uomo. Le autorità messicane lo catturano e quindi riescono a rintracciare Rawlins e John Grady, ritenuti complici. Dopo il carcere in Messico Rawlins ritorna negli Stati Uniti, mentre John Grady cerca di rivedere nuovamente Alejandra. Poi recupera il suo cavallo e quelli di Blevins e Rawlins, e prende in ostaggio il capitano della polizia che aveva consentito l'assassinio di Blevins. Infine John attraversa il fiume che segna il confine con gli Stati Uniti, dove cerca di trovare il proprietario originario del cavallo di Blevins. Splendido romanzo, con una trama avvincente e ricca descrizione del territorio e dei luoghi in ci si svolge il racconto.

Non lasciatevi ingannare dalla confusione delle prime pagine, In una metafora, è come uscire da un cespuglio di rovi per immettersi subito dopo in un infinito campo ricco di ogni genere di vita. Bellissimo.

Sudore, polvere, fango e sangue. Si attaccano agli occhi, ai vestiti, alle scarpe mentre sei immerso in queste pagine. McCarthy è in letteratura quello che Sergio Leone è stato nel cinema. Asciutto, evocativo, trascinante ma mai inutilmente pindarico. Non si fa mai trascinare dall'enfasi e quando descrive un paesaggio, quando scava con l'accetta uno dei suoi affilati dialoghi, sai già che è così che scorre un fiume, è così che si sta a cavallo, è così che si parla davanti a un fuoco sotto le stelle del Messico. Tra le pagine di McCarthy trovi il rovescio di Steinbeck e della sua valle dell'Eden, altrettanto tragico e definitivo ma più ruvido e ripido da scalare. Quando apri un libro e ti trascina in quarantott'ore attraverso l'America, una volta chiuse le pagine sai che hai trovato un grande narratore. Il West di Cavalli Selvaggi è Kent Haruf con gli stivali sporchi di sangue e sterco. Immancabile.