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Attraverso gli occhi di quelle due ragazzine che diventano adulte, delle storie di amori falliti e deludenti, e di un’amicizia invincibile che pure non riesce a non fare del male, Silvia Avallone racconta un’Italia operaia, inedita, dimenticata. Un romanzo d’esordio potente, una storia di formazione cruda e sincera che arriva dritta al cuore del lettore.
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La storia di una amicizia al femminile e sullo sfondo un ritratto crudo e realistico della periferia italiana, coinvolgente, ma dal (non) finale un po' deludente
Non mi succedeva da tantissimo, forse non mi è mai successo, ma credo che sia il libro che più di tutti mi è entrato dentro. Mi ha devastata, sulle ultime pagine ho pianto. È ambientato a Piombino, nell’immaginaria via Stalingrado, nell’arco di un anno, tra l’estate del 2001 e quella successiva del 2002. Tra le case popolari, palazzine grigie tutte uguali, due ragazzine si affacciano all’adolescenza non con la spensieratezza che meriterebbero ma affrontando drammi familiari e personali. Di fronte la vista è spettacolare, il mare e l’Elba tanto vicina da avere la sensazione di poterla sfiorare; alle spalle, invece, l’ombra ingombrante degli altoforni della Lucchini. Narrazione vivida tanto da sembrare di essere accanto a loro. Tensione narrativa che si trasforma in tensione emotiva grazie alla costante percezione che stia per accadere qualcosa. Ed effettivamente ne succedono di cose. Ma non è mai quello che sembrano suggerire le parole. Un libro duro, estremamente reale ma così tremendamente sbagliato. Non ci sono santi, solo esseri umani. Commettono errori, anche deprecabili, ma si riesce comunque ad empatizzare con molti dei personaggi. Hanno un’attenuante: sono vittime, di figure abusanti in alcuni casi, ma soprattutto del sistema sociale a cui appartengono. Un sorriso che rimette a posto tutto, una finestra affacciata sul mare, il profilo dell'Elba sull'orizzonte, la speranza di una vita migliore.
E molto interessante lo consiglio vivamente
Recensioni
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