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Vivere senza paura. Scritti per Mario Bortolotto - copertina
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Vivere senza paura. Scritti per Mario Bortolotto
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Descrizione


Un libro che è, innanzitutto, un atto temerario promosso da un nucleo ristretto di amici e ammiratori disposti a sottoporre il loro operato al giudizio notoriamente severo di Mario Bortolotto. Nell'impresa sono impegnati non soltanto musicisti e critici musicali, ma anche narratori, studiosi di letteratura e arti figurative; così, accanto al breve messaggio augurale, figurano le pagine di "bella prosa", il brano musicale inedito, il saggio ben meditato. Ne deriva un panorama storico-culturale esteso da Orazio al minimalismo americano, dalla pittura italiana del Cinque e Settecento a Puskin, da Janequin a Dino Campana; con un rilievo particolare alla grande (e anche alla meno grande) musica europea degli ultimi due secoli. Amori palesi, passioni segrete, in qualche caso anche argomenti estranei alla pluricromatica gamma di interessi del dedicatario; non è neppure da escludere che dietro alcuni di questi scritti si nasconda un moto d'orgoglio luciferino: la sfida, l'emulazione, è noto, sono da sempre la molla prima d'ogni atto creativo. A null'altro che al coraggio di osare l'intentato allude, in effetti, l'aurea massima di Adorno (guida ideale di Bortolotto) che dà il titolo al volume.
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Dettagli

EDT
2007
7 giugno 2007
X-332 p., ill. , Brossura
9788860400765

Voce della critica

Le raccolte di scritti in onore di grandi studiosi hanno di norma il compito di testimoniare l'interesse di amici e colleghi per gli ambiti disciplinari prediletti dall'omaggiato: di qui, il costume di dedicare le riflessioni ai temi indagati nel corso di carriere lunghe non meno che feconde, sovente partendo dalle tesi contenute nei libri e nei saggi elencati nel profilo. Nei non rari casi in cui l'omaggiato sia un uomo o una donna dagli interessi vasti o vastissimi, il risultato è in genere un prodotto pieno di pregi ma con un difetto enorme, quello di essere un bene difficilmente commerciabile. Nel caso di Mario Bortolotto il rischio era concreto, rispondendo l'omaggiato alle caratteristiche di cui sopra nella versione con superlativo assoluto. Dalla musica alla letteratura, dalle arti visive a varie sorte di clowneries, nulla è sfuggito negli anni all'occhio e all'orecchio vigili di questo quasi-medico felicemente votatosi al mestiere di critico. Nessun editore, per quanto generoso, avrebbe potuto soddisfare il desiderio di più di tre dozzine di studiosi di raccogliere in volume i loro doni per l'ottantesimo compleanno dell'omaggiato senza deprimerne la poliedricità a colpi di diagrammi di vendita. Consapevole di questo fatto, fin dal concepimento del gran progetto la Fondazione Spinola Banna per l'arte (www.fondazionespinola-bannaperlarte.org) ha assicurato un supporto economico grazie a cui chi entra in libreria può uscirne con un libro d'immenso pregio al prezzo di un unico biglietto blu.
Il volume si articola in due sezioni che fin dai titoli, Cartoline e Lettere, omaggiano con affetto l'ultimo utente dell'Olivetti Lettera 32. Si tratta nel primo caso di quindici istantanee che, oltre a profondere attestazioni di stima (Pierre Boulez, Luis De Pablo) o a costituire prodotti artistici (il Madrigale di Aldo Clementi, la Canzonetta di Marcello Panni, il disegno di Francesco Pennisi riprodotto in copertina), rivelano lati di una personalità destinata a rimanere ignota a quanti conoscano bene il critico ma meno l'uomo (esemplare in questo senso il contributo di Giorgio Vidusso); nel secondo, di una ventina di saggi dedicati, oltre che alla musica, alle tarsie del Lotto (Piero Citati), alle odi di Orazio (Franco Serpa), ai frammenti di una traduzione dell'Onegin che Serena Vitale non è mai riuscita a completare. Fra quelli di argomento musicale l'introduzione di Pellegrini e Zaccagnini induce a privilegiare quelli di Quirino Principe sull'eroico in musica, di Gioacchino Lanza Tomasi sull'irriducibilità del Don Carlos agli schemi del grand opéra (la tesi è che Aida, per restare a Verdi, lo sopravanza di molto nella scena celebrativa; senza la quale, obiettano altri, a differenza del Don Carlos Aida è un'opera da camera) e di Giorgio Pestelli sul Finale della Quarta Sinfonia di Brahms.
Valutate le opinioni altrui, per lo più concordi nell'individuare la frattura rispetto ai tempi precedenti ma non altrettanto nel riconoscere alla "Ciaccona" il suo ruolo nell'edificio sinfonico (e qualche volta il suo valore: né le accuse ottocentesche di frammentarietà né le lodi novecentesche per una pretesa coerenza ne colgono appieno il significato), sfruttando l'imbeccata di uno studio di Wolfgang Doebel Pestelli avanza la tesi di una risposta stizzita di Brahms a quanti lo volevano unico, ma soprattutto esclusivo erede di Beethoven. Laddove nella Nona sinfonia questi aveva rivoluzionato la struttura del finale, per chiudere la sua Quarta Brahms sceglie un tema-non-tema e una forma sorvegliatissima, e su questa base lavora con i timbri, sfuma le tinte, cambia strada quando gli aggrada, assegna a un flauto – lo strumento più estraneo al mondo sonoro di Beethoven – una perorazione in cui svaporano sia l'impulso ritmico sia l'idea di flusso, con tanti saluti alla forma rettilinea e al trionfalismo di quei crucchi che, dopo averlo calcato sul testone del Titano, l'elmetto con il chiodo volevano imporlo anche a lui, oscurando l'azzurro di uno sguardo perennemente assetato di pura luce greca.
  Alberto Rizzuti

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