Vivere

Il film di Kurosawa vive (è il caso di dirlo) nello sguardo del protagonista, l'ottimo Shimura Takashi (i giapponesi mettono prima il cognome). Dal momento in cui apprende che la morte gli sta galoppando incontro (direbbe Petrarca: "a gran giornate", vale a dire a tappe forzate), il suo sguardo sul mondo e su chi lo abita cambia totalmente. E questo mondo che ha cangiato forma, mostrando tutta la sua miseria e tutta la sua bellezza, noi lo guardiamo con gli occhi di questo insignificante impiegato, che il senso della fine ha reso, suo malgrando, un eroe tragico. L'uomo senza qualità è diventato l'uomo tutto qualità, che comprende come alla vita sia necessario dare un senso, prima che ci colga la comune metamorfosi. E così i poveri e i bambini diventano le uniche persone che per lui veramente esistono e il parco giochi che infine riesce a far costruire per loro lottando come un leone contro le crudeli ottusità della burocrazia, è il risultato visibile dei suoi sforzi. Ma Watanabe non si conquista solo la gratitudine dei suoi protetti (in effetti, saranno solo loro a piangerne la scomparsa). Si prende anche il cuore dello spettatore. Kurosawa filma infatti un capolavoro, al cui centro stanno le grandi virtù della compassione e della solidarietà fra gli uomini onesti.