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Anno edizione: 2009
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Un volume scritto un secolo fa, ma che conserva la freschezza di una scrittura ironica e originale. Un piccolo divertente viaggio nell'Italia borghese post prima guerra mondiale, visitando personaggi, situazioni, mode e modi di allora, con un approccio divertito e un po' sovversivo anche con le regole del gioco del mondo letterario dell'epoca.
Spaccato di un mondo che, purtroppo, non c'è più. Nell'ironia dell'autore una maniera di scrivere oggi sconosciuta.
Felice scoperta: ironico, pungente, geniale nella struttura e di una modernità sconvolgente. Un gioiellino di narrativa da non farsi sfuggire!
Recensioni
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Milano, 1919. Uno scanzonato flâneur si aggira tra piazza della Scala e la stazione Centrale, si intrufola in casa Marinetti, sale e scende dal tram a capriccio, bighellona tra bar e tavoli da poker. È il reduce più felice della città. Non è sopravvissuto soltanto alle trincee della Grande guerra, ma anche al definitivo rogo dell'avanguardia futurista, e soprattutto al se stesso di un tempo. Ora, a quarant'anni suonati, è pronto per diventare veramente giovane e fare il suo debutto nella modernità.
Il primo dopoguerra è la faglia che taglia in due la vita artistica di Bontempelli. Al di là resta una remota silhouette classicista e carducciana, mentre il presente si apre su una parola d'ordine e su un'intuizione. La prima è quasi un'insegna della personalità bontempelliana, destinata a riecheggiare a ogni nuovo cambio di rotta: "Comincio ora". La seconda l'ha decifrata per primo Luigi Baldacci, come ricorda Alessandro Tinterri nel saggio che accompagna la nuova edizione di La vita intensa, riproposta da Isbn nella collana "Novecento italiano" diretta da Guido Davico Bonino (recupero dovuto e necessario, perché pochi libri sono, come questo, puro "Novecento italiano"): "Bontempelli (
) ha capito tre cose difficili da capire nella loro dialettica articolazione (
): che l'avanguardia degli anni Dieci, e in particolare il Futurismo, non era una malattia infantile del nostro secolo, ma un fatto irreversibile; che l'avanguardia non può essere istituzionalizzata o, più semplicemente, protratta e continuata nel tempo (
); e che tuttavia era necessario andare avanti, e non riprendere il vecchio discorso, come se niente fosse stato".
Usciti a puntate sulla rivista "Ardita" tra il marzo e il dicembre 1919 e riuniti in volume l'anno successivo, i dieci microromanzi che compongono La vita intensa sono il primo frutto, acerbo ma freschissimo, di quella triplice consapevolezza. Il bontempelliano Romanzo dei romanzi, come recita il sottotitolo del libro, è figlio dell'antiromanzo futurista, di cui accoglie l'invito ad abbandonare la tradizionale architettura romanzesca a favore della meccanica concatenazione di scene, senza alcun nesso, logico o di verosimiglianza, tra l'una e l'altra. Di suo però vi aggiunge un inedito salto mortale, travestendo da romanzo una sequenza minima di scene, talvolta una singola scena: una passeggiata da via San Paolo alla Galleria, l'indagine su un supposto tradimento, la contemplazione di un paio di gambe femminili, un appuntamento mancato. Qualsiasi occasione, pretesto, incidente, si presti all'impresa ironicamente ambiziosa di "rinnovare il romanzo europeo", come dichiara l'autore nella prefazione.
Ora che non ha più niente da dimostrare, nessun modello da seguire, né, ancora, un programma da esplicitare, Bontempelli si diverte. Pazzamente, smisuratamente. Prende in giro il se stesso di un tempo incarnandolo nell'irresistibile protagonista di Mio zio non era futurista (microcapolavoro del libro), ma non risparmia neppure Marinetti, il santo patrono di tutti gli incendiari, ritratto nella sua casa-studio-mausoleo tra "la violenza caotica dei capolavori d'ogni arte che scrollando e sibilando vi si aggrovigliavano" e "il pianoforte e l'armonium che, come ognun sa, Marinetti tiene in quel suo salotto ultrafuturista". Sa che l'avanguardia è morta o, peggio, è sopravvissuta a se stessa irrigidendosi in maniera. E allora non resta che finire di svuotarla, per cercare nel frattempo, sotto il velo di una giocosa parodia, un ritmo e una struttura narrativa nuovi.
La vita intensa, infatti, non è una pira futurista sulla quale far bruciare il romanzo ottocentesco al fuoco del dinamismo e della simultaneità, semmai un catalogo dei generi più rappresentativi della grande narrativa del secolo precedente (romanzo d'avventura, d'amore, filosofico, drammatico, di formazione), infilati però in un abito di quattro taglie più piccole. Più che a dei romanzi sintetici, siamo di fronte a dei romanzi miniaturizzati, romanzi-sketch, romanzi-comica finale, che replicano, parodiandole, le strutture del romanzo "vero" introduzioni che non introducono, capitoli di una riga, false digressioni in una linearità illusoria, epigrafi inventate e che fondano a loro modo, cioè prendendosi assai poco sul serio, un genere o sottogenere di elitaria ma tenace fortuna (dai racconti seriali o a cornice di Italo Calvino ai manganelliani "piccoli romanzi fiume" di Centuria).
L'effetto sovversivo nasce dal décalage tra la struttura narrativa e l'oggetto della narrazione. Perché dentro queste strutture, al di là dello scarto del comico, non c'è assolutamente nulla. La vita intensa è una galleria di scheletri di romanzo da cui è stata asportata la carne, e dove sono rimasti soltanto frantumi irrelati, equivoci, giri a vuoto, nonsense, incontri mancati, scherzi finiti in tragedia, più spesso in tragicommedia: tutto ciò che sta dentro il quotidiano ma ne rompe la superficie tranquilla il lampo della sorpresa, e che è insieme oggetto e principio strutturante della narrazione. Di più, perfino della metanarrazione, come nel decimo e ultimo romanzo, il "romanzo dei romanzi", appunto, dove l'autore incontra nel suo studio i protagonisti di tutte le avventure narrate in precedenza, compreso il personaggio di se stesso e così anche Pirandello è omaggiato e parodiato insieme.
Qualche anno più tardi Bontempelli partirà per un'altra avventura, quella novecentista: sarà il suo tempo di edificare. Per ora gli basta bighellonare per Milano godendosi la libertà di non aver niente da dire e la felicità di poter narrare a partire da qualsiasi cosa. La libertà e la felicità che sono solo degli inizi.
Beatrice Manetti
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