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Gli dèi ci hanno abbandonato e il mondo ha perso il suo incanto. Ma il disincanto del mondo offre fenditure che la ragione scientifica non riesce a ricucire e perciò abbandona, aperte, allo sguardo di un dio che non redime perché resta muto dal lavoro della ragione che, nel suo incedere tranquillo, ha cancellato le tracce di alcune interrogazioni radicali che da sempre abitano l'uomo e di cui il mito è la prima parola.
Ma se la ragione è solo una procedura discorsiva che non esaurisce l'orizzonte del pensiero ma, al suo interno, si limita a descrivere e a percorrere un tracciato, allora diventano legittime le domande di Kurt Hubner: "in che senso i miti e gli dèi sono irrazionali? Non può anche il mito, come la scienza, avanzare un diritto sulla verità?"
Ci rendiamo subito conto di non trovarci qui di fronte a uno dei tanti libri che ripercorrono la storia dei miti per rintracciare motivi edificanti per la vita o segreti nascosti nelle cantine dell'anima. Al di là del gioco criptico delle interpretazioni che risolvono il mito nello statuto dell'indovinello, al di là del gioco filologico della storiografia che estingue il mito nella materialità degli eventi che lo hanno generato, al di là della curiosità indiscreta della psicologia sempre alla ricerca di spunti mitici che possano puntellare il suo inconscio, Hubner coglie nel mito quella fonte delle metafore che gli uomini della ragione sono in grado di accogliere solo quando le vedono ordinate negli ambiti disciplinari della filosofia, della teologia, delle scienze politiche, economiche, sociologiche, poetiche, musicali, pittoriche. Cioè negli esiti, non nel loro generarsi. Eppure, proprio nella fonte, dice Hubner, è la verità del mito che, scoperta, offre al pensiero una nuova possibilità di pensare.
Umberto Galimberti
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