Venite a me, voi oppressi. Un esercizio di cristianesimo

"Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò". Intorno a queste poche righe, tratte dal Vangelo di Matteo, Kierkegaard compie una vertiginosa meditazione, che non può lasciare indifferente il lettore cristiano, che è costretto a riflettere cosa significa essere cristiani. Scrive: "Venite a me voi umili e disprezzati; voi, della cui sorte -ma, davvero nessuno! - si interessa a voi che siete tenuti in minor conto di un animale domestico...L'invito spezza qualunque differenza, per raccogliere tutti. Esso pretende di raccogliere ogni bene che è stato perduto a causa di quella ingiustizia messa in atto nel porre uno a capo di milioni di sudditi, dandogli ogni ricchezza e fortuna e condannando un altro all'esilio nel deserto" Per Kierkegaard " l'unica porta di ingresso al cristianesimo è la coscienza del peccato, pretendere di entrarvi per altra via significa commettere contro il cristianesimo un delitto di lesa maestà". Essere cristiani, inoltre, vuol dire essere un contemporaneo di Cristo, senza collocarlo in un tempo remoto della Storia, così come lo erano i primi cristiani, così da vederlo nella sua vera figura e non nella forma di un ricordo vuoto e insignificante. I potenti di oggi se vedessero in Cristo un loro contemporaneo lo metterebbero in croce, così come fecero i potenti di duemila anni fa. Perché Cristo oggi come allora si schiera dalla parte degli ultimi, dei diseredati, dei migranti, degli ammalati, degli afflitti nella carne e nello spirito, dei samaritani che soccorrono l'uomo malmenato dai briganti...