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recensione di Marconi, S., L'Indice 1998, n. 4
Il Consorzio Venezia Nuova è alla sua ottava strenna natalizia. Prima che ne venisse affidata una a Barbaro ne avevano scritte Brodskij, Chastel, Sinopoli, Brodkey, Acheng, Riotta e Matvejevic': unico comun denominatore il tema, Venezia. Ma tant'è, la brevissima presentazione dell'iniziativa ricorda che tutti hanno finito per scrivere "una sorta di diario".
Niente di strano, quindi, nella scelta dell'ottavo: Barbaro ha incominciato nel '66 la sua carriera di scrittore con un diario (il diario buttato giù quasi per caso da un tecnico isolato in un cantiere lontano, tra le sue macchine e la natura grande tutta intorno) e ha costruito negli anni uno stile legato proprio alla scrittura diaristica, una scrittura diaristica - però - che non può mai prescindere da un interlocutore, da un "altro" che ascolta o ascolterà il suo racconto.
Barbaro, dunque, "esperto di diari"; ma anche Barbaro "esperto di Venezia", avendole dedicato tre dei suoi libri di racconti e la maggior parte dei suoi articoli, e avendo deciso una decina di anni fa - dopo aver viaggiato a lungo dietro al suo lavoro di ingegnere civile - di ritornare alla città lagunare che l'aveva adottato bambino.
Questo libro - che verrà presto ripubblicato da Marsilio - racconta proprio il ritorno, lo spaesamento davanti ai cambiamenti, la meraviglia per l'unicità della città, le difficoltà e i ritmi diversi da reimparare.
Fin dalle prime pagine emerge la Venezia di Barbaro, fatta di colori ("verdelaguna tra spume bianche, verde-blu-giallo, verde-rosa. Rinforza il tramonto, tutto a strisce; arancione, viola") e di contrasti, sospesa tra muri antichi cadenti e intrisi d'acqua e nuovi telefonini onnipresenti, tra turisti "Furie di ogni paese" e commercianti sempre più ricchi e sempre più soli dopo l'esodo della maggior parte delle attività artigianali-industriali da Venezia. Barbaro scopre di dover ricominciare a camminare, abitudine persa nelle grandi città da cui proviene, e - soprattutto - a guardare: "niente di più bello, e di più faticoso" di Venezia, niente di meno catturabile, imprigionabile in formule precise e funzionali. Venezia è il luogo altro per eccellenza, la città-non-città, nuova e vecchia insieme, indefinita nel suo miscuglio sempre diverso di acque e di pietre, labirinto caleidoscopico e "luogo infinito". E Barbaro - pur sapendo che basta "un minimo spostamento di chi guarda" per cambiarla - la rincorre nel suo tentativo senza speranza di "dirla tutta", con la sua prosa cadenzata, scandita da ritmi ternari e binari e da ritorni e richiami, con una lingua chiara e semplice ma attentissima e precisa, con qualche accento veneziano subito giustificato, con calma e passione.
Ritornano nomi, personaggi, squarci, addirittura episodi di altri suoi libri; soprattutto ritorna l'atmosfera che dà a cortili calli slarghi ponti botteghe muri finestre panchine odori e colori un aspetto nuovo, molto al di là della cartolina cui spesso siamo abituati. Quello di Barbaro è anche un monito: attenzione, Venezia sta male, bisogna aiutarla a sopravvivere a se stessa e alle nostre iniziative spesso distruttive; Venezia è ancora tutta da scoprire e il rischio è quello di non fare in tempo.
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