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Umberto Boccioni. L'artista che sfidò il futuro - Gino Agnese - copertina
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Umberto Boccioni. L'artista che sfidò il futuro - Gino Agnese - copertina

Descrizione


Fautore di un'arte violentemente rivoluzionaria, Umberto Boccioni (1882-1916), pittore e scultore, è insieme a Marinetti il massimo esponente del Futurismo e il primo della sua cerchia ad aver captato la nuova sensibilità introdotta dal secolo delle tecnologie e della macchina. Non è un caso se fin da subito Apollinaire riconosce in lui il teorico del gruppo, colui che di lì a breve sintetizzerà nel celebre "camminatore" le proprie ricerche su un dinamismo quasi metafisico, di radice aristotelica. Boccioni si distingue per il corso rapido dell'intelletto, per la singolarità dei suoi discorsi, che spaziano in ogni campo. Possiede i tratti della genialità, metabolizza letture ed esperienze, rilanciandole in straordinarie invenzioni che fissano i princìpi di una nuova estetica. Inseritosi nel solco di Balla negli anni dell'apprendistato romano, sarà però lui a trascinare il maestro nell'avventura del Manifesto dei pittori futuristi, nel 1910, a cui hanno già aderito Carrà, Severini e Russolo. Una brigata effervescente, con il poeta Marinetti nel ruolo di leader che mobilita ogni mezzo per lanciare i compagni verso la gloria internazionale, raggiunta nel febbraio del 1912 con la prima mostra futurista nella Parigi delle avanguardie. Un evento che Boccioni ha atteso come nessun altro nella sua vita e che ha calamitato ogni sua aspettativa. Sarà poi la volta di Londra, Bruxelles e Berlino, prima di riprendere la tournée italiana delle serate futuriste.
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Dettagli

2016
21 marzo 2016
387 p., ill. , Brossura
9788860101761

Voce della critica

Boccioni, il futuro negli occhi

Tra i libri che il burrascoso 2016 ha offerto al lettore, Umberto Boccioni. L’artista che sfidò il futuro è luminosa ricostruzione di una figura le cui vicende si intrecciano con i cambiamenti epocali, con un salto vertiginoso che mette da parte il crepuscolo dell’Ottocento per abbracciare l’alba elettrica del nuovo secolo.

Partendo dal novembre 1899, e cioè da quando un «giovane bruno, dal volto affilato, i capelli lisci che gli cadono in ciuffo sulla fronte, sale di corsa le scale di un vecchio palazzo di via dei Cestai, stradina del centro» di Catania e sede della Gazzetta della Sera, Gino Agnese disegna una biografia ricca e preziosa che non solo si nutre di importanti e ricercatissime fonti storiche, ma ha il potere di conquistare sin dalle prime pagine lo sguardo di chi, curioso o predisposto a questo tipo di letture, ha voglia di entrare nel mondo magico di un artista speciale. Agnese infatti, quasi a plasmare il libro come un romanzo (il romanzo di una vita breve ma intensa), ricostruisce la storia di un ragazzo che, dopo essere stato giudicato “insufficiente” in calligrafia, computisteria e disegno dagli insegnanti della Sammartino, dopo aver deciso di lasciare Catania per «trovare un varco nel giornalismo romano», comincia un'avventura creativa che lo porterà a rompere con il passato, a «riprodurre l'oggetto come sensazione», a dipingere stati d'animo, a vivere «il movimento vertiginoso della vita umana».

Roma, millennovecento è appena il secondo paragrafo del libro – il soggiorno di Boccioni a Roma «durerà quasi sette anni, fino al 1906» – e già illumina la scena con una luce entusiasmante e suadente che ha la capacità di trasformare il lettore in un testimone che assiste alle vicende di una vita, di far vedere e vivere l’incontro di Umberto («una delle amicizie più stabili e più solide di tutte la sua vita») con Gino Severini e con Mario Sironi, di far sentire l'atmosfera delle letture rivoluzionarie o di far percepire i nutrimenti di una mente in trasformazione. L’incontro fortuito con la pittura di Giacomo Balla (che diventa una guida, un maestro da raggiungere, da divorare e da lasciare nei ricordi dei vent’anni), il Caffè Sartoris sul largo di San Marcello dove frequenta la cerchia di Sergio Corazzini («il figlio del tabaccaio») e il Caffè Aragno, «all’angolo del Corso con via delle Convertite», sono nucleo e grumo di una stagione che porta Boccioni a conquistare Roma e, via via, a «sognare altre latitudini», a volgere lo sguardo verso Parigi che gli si svela nella sua straordinaria varietà: «immaginate che cos’è questa città», scrive alla madre e alla sorella Amelia. «Pensate alle migliaia di carrozze, e centinaia d’omnibus, tramvai a cavalli, elettrici, a vapore, tutti con l’imperiale e gli automobili da piazza, alla metropolitana che è una ferrovia elettrica che passa sotto tutta Parigi e i biglietti si prendono discendendo in gran sotterranei tutti illuminati a luce elettrica».

Proprio a Parigi, la città dove risiede da un po' Sironi, incontra Augusta Popoff (moglie di Sergej Berdnikoff) e nasce una curiosità, un’amicizia che muta in passione travolgente: e che spingerà Boccioni a viaggiare per tre mesi, con lei (Augusta «è incinta, di quasi tre mesi» e vuole «che Umberto l’accompagni in Russia»), «tra la rivoluzione che avanza e la reazione che contrattacca».

L’amore (e l’attenzione) per la musica, la lettura delle “note d’arte” e dei volumi – La nuova arma (la macchina), Il nuovo aspetto meccanico del mondo e L'imperialismo artistico – di Mario Morasso portano Boccioni a intuire, poi, nuove vie, a pensare che l’arte debba assumere il tempo presente.

L'uomo e la macchina, il pericolo e la velocità, l’incontro con d’Annunzio, quello intimo con Margherita Sarfatti e quello con l’amico Carlo Dalmazzo Carrà o quello con Luigi Russolo («divenimmo amici, profondamente amici»), il desiderio sempre più avvertito di «dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale», spingono Boccioni verso la cerchia del poeta Marinetti. Il 21 febbraio 1910, grazie a Libero Altomare (nome d’arte di Remo Mannoni), «Boccioni e Marinetti danno avvio al loro sodalizio: che sarà importante nel secolo e che, in diversa misura, cambierà l’uno e l'altro». Fino a quando, dopo tante conquiste, dopo tante vittorie e dopo mille avventure, Marinetti «in lacrime, sconvolto», apprenderà che con il primo chiarore del 17 agosto 1916 Boccioni, l’artista e il grande teorico, saluta La città che sale, le Forme uniche della continuità nello spazio, l’Antigrazioso, gli Stati d’animo (Gli addii, Quelli che vanno e Quelli che restano) e non ultima Materia, plasmata dall'aria e dagli echi del mondo che è fuori, mentre la vita ormai tace.

Recensione di Antonello Tolve.

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