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Dimenticate il vecchio e glorioso Vietnam con gli scoop del venerabile Cronkite. Buttate pure in un cestino il mitico lavoro dei cronisti del "Washington Post" che propiziarono il ritorno a casa di Nixon abbattuto dallo scandalo Watergate. Se siete studenti in qualche scuola di giornalismo, evitate anche di prendere a modello Larry King, le bretelle più rosse della Cnn. O, se preferite, archiviate tutto ciò a beneficio della Storia.
Le Ultime notizie che giungono da Occidente ci dicono che il "quarto potere" o è morto o sta agonizzando. Ai nomi di quei grandi cronisti coraggiosi e indipendenti potremmo sostituire - suggerisce Reale - quelli di Maggie Callagher, Michael McManus e Armstrong Williams, accusati pubblicamente di essere sul libro paga dell'amministrazione Bush. O quello di James Guckert, che partecipava sotto falso nome alle conferenze stampa della Casa Bianca per fare da sponda all'amministrazione. Quando fu scoperto - ci racconta il libro -, il portavoce di Bush commentò impudicamente: "Per noi non è facile stabilire chi è giornalista e chi no".
Una frase che sembra buttata là per risolvere (malamente) una situazione imbarazzante. Ma che invece diventa leggibile e inquietante se la si lega a un'altra, pescata da Reale in un incontro fra un reporter e il presidente Bush nel suo ranch texano. Bush dichiara di non leggere i giornali e il cronista gli chiede come fa, allora, a sapere cosa pensa l'opinione pubblica. Bush: "Lei parte da un presupposto esagerato: che voi rappresentiate ciò che pensa l'opinione pubblica". Ancora? Ecco la dichiarazione del capo dello staff presidenziale Andrew Card: "Nella nostra democrazia la gente che rappresenta l'opinione pubblica si candida alle elezioni (...) Il nostro lavoro non è fare le fonti (...) Il nostro lavoro non è rendere facile quello dei giornalisti".
Che cosa è accaduto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna? Dov'è finita l'informazione "cane da guardia verso gli abusi dei potenti"? La risposta di Reale è che si è spostato il baricentro della democrazia: "Dall'11 settembre 2001 (...) si è registrato in ogni parte del mondo uno scontro durissimo fra politica e informazione dal cui esito dipende la qualità e lo spessore della stessa partecipazione alla vita democratica: non ci sono più terre promesse, neanche a Occidente, su cui fare cieco affidamento".
È capitato che giornali e televisioni abbiano di quando in quando denunciato le bugie dei potenti, pubblicato le immagini delle torture di Abu Graib, chiesto le dimissioni dei responsabili. Ma sono rimasti tutti al loro posto, da Rumsfeld alla Rice. Sono invece andati a casa, aggrediti da Fox News, l'inedito canale tv militante schierato da Murdoch alla testa del movimento conservatore, tutti i principali oppositori della Guerra Preventiva e dell'amministrazione Bush: Dan Rather (Cbs), il direttore editoriale della Cnn Eason Jordan, i vertici della Bbc.
Giornalista Rai di lungo corso, esperto di nuovi media e vocato alla ricerca analitica, Reale ha svolto una vera e propria indagine sul comportamento dei media occidentali (soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna) dal 2001 a oggi. Mentre tutti concentravano lo sguardo e l'analisi verso Oriente, cercando di scorgere le nuove frontiere del giornalismo in mezzo alle tempeste di sabbia e al buio del conflitto meno narrabile della storia, l'autore di Ultime notizie si è rivolto a Nord-Ovest cercando "alla fonte" le ragioni dell'appannamento dell'obbiettivo mediatico. Un lavoro imponente, ma volutamente di agile lettura, costruito intorno a storie di persone in carne e ossa raccontate e ricostruite traducendo centinaia di documenti (scritti, filmati, sonori e web) in gran parte sconosciuti in Italia. Ma, soprattutto, un lavoro di inchiesta. La guerra in Iraq, l'affievolirsi del ruolo dei media diventano quindi solo un catalizzatore da usare nelle analisi compiute nel laboratorio di Reale per ricostruire gli effetti a catena di una reazione iniziata ben prima dell'11 settembre e che deve ancora esaurirsi.
Ultime notizie è anche il frutto di un lavoro di gruppo coordinato da Reale in collaborazione con Informazione senza frontiere, l'associazione italiana che per conto della Fnsi monitorizza in tempo reale lo stato della libertà di stampa nel mondo.
Il risultato è un libro denso di episodi concreti. Non c'è ideologismo, né nella prosa né nelle conclusioni, lontane da derive apocalittiche o dall'essere bassamente legate alle polemiche politiche di casa nostra. Su Berlusconi Reale si limita a fare un riferimento strategico: "L'Italia resta una sorta di laboratorio negativo, ma all'estero le cose non vanno meglio".
Il futuro? Praticare un cieco pessimismo è un errore, ammonisce l'autore. Non bisogna sottovalutare le risorse della democrazia. "Un giornalismo più preparato e rigoroso, meno arrogante coi deboli, meno narcisista, ha la possibilità di recuperare un ruolo oggi in crisi", conclude Reale. Il cerino è ora in mano agli operatori dell'informazione.
Stefano Marcelli
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