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Nella vicenda dell’anziano che è per l’ultima volta nella sua camera, solo e in attesa del ritorno dal lavoro del figlio che lo condurrà poi a una casa di riposo, si specchia ineluttabile un destino di tanti a una certa età e proprio a una certa età, non potendo vivere in funzione del futuro, si vive del passato; è così che l’uomo inganna il tempo che gli manca per la partenza conversando con la moglie morta da molto tempo, un colloquio struggente che ripercorre tutta una vita e che gli fa dire “ La felicità è tutta nel passato.” Poi, arriva il figlio e ii discorso diventa fra vivi, con qualche bisticcio anche, e ancora con gli interventi della moglie, che è quella parte dell’anima del vecchio che lo rende ritroso a lasciare la casa, consapevole che la prossima dimora sarà quella in cui finirà con il morire. E’ molto bello anche il tentativo, blando, del figlio di trattenerlo, blando perché comprende le ragioni del padre, ma è anche vero che non si sente di avere fra quelle quattro mura un morituro, a parte l’egoismo di avere a disposizione una camera in più per i figli. Finisce il primo atto e si arriva al secondo, con l’anziano che ormai ospitato a Villa Delizia si è ritagliato un angolo di indipendenza in una soffitta dove coltiva una pianta di basilico, quasi a voler affermare il desiderio di veder crescere una vita fra tante che lentamente si spengono. E lì, nell’attesa di oltrepassare l’ultima porta, accomunati tutti dallo stesso destino come i soldati in una trincea, lui, in un ultimo sussulto, decide di non lasciarsi andare, di non anticipare la sua dipartita, riscopre la sacralità della vita che merita di essere vissuta fino all’ultimo, con l’unico desiderio di scegliere il tempo per la sua morte. Gli piacerebbe tanto a Natale, con il grande albero illuminato, in mezzo alla piazza, mentre la neve cade lenta. Sì, la felicità è nel passato, ha proprio ragione Furio Bordon. Da leggere, è un capolavoro.
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