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Tutto in famiglia - Silverio Novelli - copertina
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2007
158 p., Brossura
9788881783687

Voce della critica

Per la letteratura, la famiglia è da sempre una sorta di laboratorio degli affetti in cui sentimenti e passioni crescono e si sviluppano (avviluppano), annodandosi come serpenti ai rami dell'albero genealogico. Doppi legami, ci ha insegnato a chiamarli la psicoanalisi: rapporti ambivalenti che fanno della famiglia un nido, ma anche una fucina di nevrosi; legami di sangue che creano il fitto reticolo in cui ognuno di noi si trova impigliato.
Dietro ai sette racconti di questa raccolta, nelle proiezioni dei diversi personaggi, c'è un unico ioche è al tempo stesso padre, figlio, fratello, marito, nipote: nucleo della molecola di cui, come un piccolo Atlante, sente di portare sulle spalle tutto il peso. Ecco allora la somatizzazione. La fatica di gestire la famiglia allargata ("Sorella chissà che cosa vuol dire per mio figlio in questo caos organizzato di prendi lascia tieni molla stai o vai"); l'ansia di non essere all'altezza delle aspettative (che lo designano erede del nonno Nicola, eroe partigiano); l'angoscia di tenere insieme i pezzi del puzzle si traducono in "flussi, flutti, fluminagioni" organiche ("Tutto dentro di me tenta la fuga"), nel disgregarsi di quel corpo individual-collettivo che Valerio Magrelli ha chiamato il condominio di carne. Ed è proprio la carne viva dei sentimenti che – come in uno spudorato spogliarello senza pelle – s'intravede a tratti in queste pagine, velata dal panneggio delle parole che ne sottolineano le pieghe e le forme, le voragini e i risvolti.
Una scrittura olistica, quella di Novelli, che descrive e al tempo stesso demistifica il solipsismo silenzioso di ogni famiglia ("Dicono che raccontare possa lenire certe ferite dell'animo, che possa funzionare come un'autoterapia"): più la confessione è bruciante, più si fa necessario il lasciapassare dello stile; perché in letteratura, si sa, la parola è l'unico viatico alla vita. Grazie alla conduzione di questa scrittura sapiente, in ognuna delle "sette entropie domestiche"la tensione emotiva riesce a scaricarsi sulla pagina, convogliando la dispersione di energia vitale nella messa a terra del racconto. Solo così può sciogliersi il bolo di veleno, il "grumo bollente di rancore" incastonato – appena sopra al chakradel plesso solare – nell'incavo dell'ombelico ("nella penombra della camera da letto, mi spulcio l'ombelico (…) Svello il batuffolo tra le pieghe non epiche dell'epa multistrato").
"Il mio ombelico è situato al centro della mia panza", scriveva Tiziano Scarpa in un suo celebre e provocatorio monologo; qui, invece, l'ombelico – con la sua pregnante (è il caso di dirlo) valenza simbolica – si trova precisamente al centro dell'universo narrativo, primum movens di tutto il sistema. I due racconti autobiografici – Ruote quadrate e Sesduzione???,posti significativamente ad aprire e chiudere la raccolta – incorniciano storie familiari che evadono dalla claustrofobia domestica nella quarta dimensione del fantastico. Una dimensione altra in cui le parole sprigionano paesaggi immaginari, così come accade con i sentori del vino ("Chiusi gli occhi e mi avvolsero le viole appassite, sentii sciogliersi la composta di prugna e di frutti di bosco, il pepe nero mi solleticò, il tabacco scuro scese dal naso alla gola").
In Fabulaliena, ad esempio, "la costruzione di un mondo alternativo" passa attraverso le "affabulazioni" del figlio di tre anni: basterà una parola inesistente come fulisso – puro flatus vocis senza corrispondente nella realtà – a sconvolgere in modo irreversibile la vita della famiglia (ben lungi dal mascherare il malessere, il fantastico esaspera l'effetto alienante degli affetti). Le parole vestono di realtà la paura, come se la realtà si creasse – e si potesse cancellare (Mela zeta) – scrivendo al computer: "Sulla tastiera del macintosh se premi il tasto dove c'è raffigurata la mela sbocconcellata e insieme premi il tasto della lettera 's', salvi il documento al quale stai lavorando. Anna lavora da sempre ai mille documenti della sua vita, con o senza tastiera".
La mela morsa, un altro simbolo archetipico: qui il peccato originale che il sé stesso sottinteso deve scontare è quello di voler sostituire la parola alla realtà ("Vi piace pensare che le parole vi portino più in alto di dove siete, dove da soli non arrivereste mai. La parola è la vostra droga"), di anteporre la scrittura alla vita ("C'è da considerare che il pensiero di scrivere mi dominava"). E invece – altro doppio legame – alla fine di questo romanzo di formazione, la preminenza viene attribuita al corpo ("Se non senti odori, le madeleinettes sono insipide"), all'azione: "Sciacquerò il vino nel sangue, il profumo delle vite trascorse aspergerà il letto e inonderà i bicchieri; la falce delle lingue intrecciate nel bacio avrà il filo netto e il sapore ferrigno. Allora il buco nero si estrofletterà suppurando lo smegma e le parole mie – troppe, inutili – saranno inghiottite nel racconto di altri".
  Giuseppe Antonelli

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