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Dall'esordio di A morte Talleyrand a questa nuova raccolta, la poesia di Carpi mantiene alcuni caratteri essenziali: i ritmi giocati su poche note, con il fantasma di un endecasillabo insieme corteggiato e temuto, che a volte si traveste da nuda prosa a volte si tornisce nelle distratte sentenze di un rimuginio interiore; l'implacabile limpidezza della lingua; infine, soprattutto, certe ossessioni, qui dichiarate fin dal titolo: che, come chiosa il testo d'apertura, pone un'alternativa "fra radicati e sradicati". Differenza poi indagata su due livelli: da una parte il "destino singolo", opposto alla voglia di "essere in gioco, in mezzo, / in mezzo agli altri"; dall'altra la riproduzione dello stesso iato all'interno dell'io, riassunta dal titolo del poemetto La carne è un altro, che parafrasa una modernità tesa tra Rimbaud, Freud e gli esistenzialisti. Come si vede, l'alternativa non allude a una scelta, piuttosto alla perenne frattura tra una realtà disgregata, ma essenziale, e due desideri vani eppure altrettanto irrinunciabili: quello di perdersi in una comunità, quello di dare all'io una consistenza senza tempo. Desideri fusi nell'unico mito dell'infanzia, dove la famiglia offre una protezione che sembra eterna. Intorno a questo nucleo immutato, la raccolta traccia sentieri più spogli del solito: si infittiscono le domande su quel padre ultimo che è Dio; i periodi storici si sovrappongono in un incubo ovattato; i "militi ignoti", cioè la gente che l'autrice osserva con penoso stupore nei caffè o nei treni, si stagliano su sfondi più diafani, più prosciugati. Nel frattempo, le scadenze che segnano la vita collettiva paiono accelerarsi, rendendo più affannosa la ricerca di quelle piccole vittorie sul tempo che sono i "tempi morti" del viaggio, dove finalmente, grazie alla casuale compresenza di "compagni corpi" sconosciuti, si costituisce l'unica comunità capace di offrire un provvisorio riparo da se stessi. In questo libro, vera summa della poesia di Carpi, si può apprezzare al meglio la sottile capacità di penetrazione che il suo sottofondo esistenzialista acquisisce, tra dilatazioni sognanti e sincopi agghiacciate, calandosi nell'anonimia della società di massa e dei suoi spazi virtuali: dove l'io è una stortura non solo rispetto al mondo naturale, ma anche rispetto al suo presente pubblico. L'alternativa del titolo non può quindi che risolversi in una antinomia statica, in una "contesa" ferma e irresolubile come uno stallo. Con la lucidità del suo razionalismo indifeso, Carpi fronteggia le inevitabili aporie della sua ricerca di salvezza: sa che non si può né far tacere questa stortura né soddisfarla. Circondata da un mondo ridotto a design, continua ad avere "sete di salvezza e dannazione": cioè di quella stabilità identitaria, magari anche infernale, che il suo e il nostro tempo non concede.
Matteo Marchesini
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