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Qualche volta tocca agli scienziati mettersi nella (scomoda) posizione di essere osservati al microscopio. Celebre fra gli accademici, ad esempio, è il pamphlet di Francesco Attena dal titolo Psicopatologia della carriera universitaria, incentrato in modo particolare sulle facoltà tecnico-scientifiche analizzate nella loro antro(pato)logia. In questo La tribù degli antichisti, invece, l'occhio davvero spietato di Andrea Cozzo passa in esame gli scienziati dell'antichità, e i grecisti in particolare, ritorcendo su di loro il metodo di indagine antropologico spesso adottato nei loro studi: ne risulta una carrellata di tic, verità costruite, postulati discutibili, atteggiamenti tribali che rendono l'antichista un essere etnograficamente sovrapponibile a uno stregone Zande e i cui rituali vengono decostruiti sempre con un occhio a Nietzsche e a Feyerabend. Il volume non è, come potrebbe sembrare dal titolo, un semplice, magari intelligente, divertissement, come nel caso del testo di Attena: se un leitmotiv si deve cogliere, è anzi l'appello costante dell'autore affinché gli scienziati dell'antichità escano dalla torre d'avorio, si impegnino e, come avrebbe detto Seneca, si dedichino allo iuvare. In questo percorso talvolta ci si imbatte in qualche eccesso metaforico: il testo critico come "centro di accoglienza temporanea"; il seminario universitario democratico come la politica di Hitler o Bush (citati insieme); ma il testo, nel suo complesso è davvero stimolante e accademicamente piuttosto coraggioso; diremmo "interessante", se, dopo l'impietosa disamina semantica di questo aggettivo che l'autore propone, non avessimo giurato di bandirlo dal nostro lessico.
Massimo Manca
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