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Una storia italiana scritta con passione e a tratti con veemenza e ardore...Peccato non aver ricordato Rosario Livatino...
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Periodicamente, da anni, Saverio Lodato raccoglie in una "summa" (che non può mancare nella biblioteca di chi debba occuparsi – per mestiere, passione o curiosità – di crimine organizzato) i suoi scritti sulla mafia siciliana, con annessi e connessi. Questa "summa" apparve per la prima volta nel 1990 con il titolo Dieci anni di mafia e si meritò allora un giudizio di eccellenza da parte di Giovanni Falcone, che scrisse di un "testimone attento e sensibile" capace sempre di "fedeltà documentale e lucidità di analisi". Negli anni successivi, la "summa" conobbe varie altre edizioni, ogni volta aggiornate e ampliate. Fino all'ultima edizione, del maggio 2008, che la "Bur" propone con i titolo Trent'anni di mafia. Storia di una guerra infinita, e che arriva a comprendere l'arresto dei Lo Piccolo, l'operazione "Old bridge" fra Italia e Stati Uniti, il caso Cuffaro, la ribellione al pizzo e un ultimo paragrafo che sfora il tema specifico del volume, essendo dedicato alla "nuova autonomia in salsa siciliana" di cui è leader Raffaele Lombardo (restano fuori del libro, per limiti di tempo, le esternazioni dei potenti personaggi che vorrebbero contrabbandare gli stallieri come Mangano come degli eroi).
Il libro di Lodato si segnala anche perché contiene capitoli su argomenti che la stragrande maggioranza dei giornali e delle televisioni italiani hanno o letteralmente ignorato o stravolto o minimizzato: come la conclusione del processo Andreotti (217 pagine di motivazione della Cassazione che confermano come l'imputato abbia commesso fino al 1980 il delitto, prescritto, di associazione a delinquere, frequentando mafiosi e discutendo con loro financo dell'omicidio di Pier Santi Mattarella); o la sentenza di condanna in primo grado del senatore Marcello Dell'Utri; o la condanna di Bruno Contrada. Vi sono anche capitoli per i quali – parlandone – corro il rischio di una specie di "conflitto di interessi", perché riguardano vicende che mi hanno coinvolto. Ma non posso non farlo, perché è proprio su questo versante che Lodato dimostra ancora una volta il coraggio di essere testimone fedele dei fatti, anche se "scomodo" perché controcorrente rispetto a un vento di "normalizzazione" che spesso si fa tempesta.
E sono i capitoli che Lodato intitola Alle porte di Baghdad, La Fatwa contro Caselli e Come ti faccio fuori per legge. Dove si dimostra che "dopo le stragi del 1992 (…) lo Stato tornò a far sentire la sua presenza"; che quelli "furono gli anni della cattura di grandi latitanti, da Riina a Bagarella, da Santapaola a Brusca (…) mai catturati (così) tanti in un periodo di tempo così breve"; gli anni in cui "tutti gli italiani avevano capito che dietro Cosa Nostra c'era un micidiale impasto di politica ed istituzioni"; gli anni in cui la Procura di Palermo si comportò di conseguenza, ossia "non tralasciò di continuare a perseguire l'ala militare, ma per la prima volta osò portare alla sbarra (…) uomini politici di prima grandezza"; ma furono "dopo qualche tempo" anche gli anni in cui "si scatenò l'inferno". Nel senso che "la mafia finalmente non aveva più segreti. Baghdad era a portata di mano. Ma Baghdad non doveva cadere. O se preferite: il vaccino era stato scoperto, ma si metteva al bando lo scienziato che lo aveva scoperto. Iniziò così la fase, tutt'ora in corso" dei magistrati della Procura di Palermo sbattuti "sul banco degli imputati" o penalizzati – dentro e fuori del loro ufficio – solo perché colpevoli di aver fatto il proprio dovere senza sconti per nessuno.
Fermare la lotta alla mafia alle porte di Baghdad. Anzi, ostacolare se non impedire la stessa lotta alla mafia quando si toccano livelli "eccellenti". Un "vizio" di sempre della nostra Italia, che riecheggia in alcune delle pagine più significative del libro di Lodato, quelle intitolate Falcone mi disse: "ecco perché lascio Palermo", dove si racconta una verità che troppi ormai hanno dimenticato, se mai l'hanno saputa: vale a dire che Falcone fu costretto a emigrare da Palermo perché "qui (gli era) diventato impossibile lavorare", perché qui per lui "non (c'era) più spazio".
Tutto questo perché (come pure le cronache più recenti del volume di Lodato dimostrano), se il contrasto dell'ala "militare" di Cosa nostra riesce a funzionare ormai con buona continuità, non altrettanta continuità è dato di registrare sul versante delle cosiddette "relazioni esterne", vale a dire le complicità, coperture e collusioni con pezzi del mondo legale (politica, affari, imprenditoria, istituzioni…) che rappresentano la spina dorsale, il nerbo del potere mafioso. Se tali coperture non sono aggredite con forza e, appunto, continuità, senza sconti o scaltrezze, Cosa nostra non è certo onnipotente, ma continuerà a trovare sostegni preziosi se non decisivi anche nei momenti più difficili. Se persiste il malvezzo di applaudire quando si arrestano capimafia e gregari, per gridare al teorema o al complotto quando si cerca di fare luce più in profondità, allora avrà ancora una volta ragione chi sostiene che si possono anche arrestare boss su boss, ma l'alt ad andare oltre, in forma anche esplicita e non solo sottintesa, rimane: e pesa come un macigno.
Gli scritti di Lodato aiutano a capire questa verità. Ed è amaro constatare come siano ormai ridotti a uno sparuto e isolato gruppetto di "alieni", spesso additati (anche da certi colleghi) come "marziani", coloro che – come Saverio Lodato – si ostinano a fare il loro mestiere con rigore e coerenza. Osando anche l'inosabile: cioè esplorare il lato più nascosto del potere mafioso, quello che si vorrebbe tenere fuori da ogni scena pubblica.
Gian Carlo Caselli
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