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scheda di Vercellone, F., L'Indice 1993, n. 7
In questo volume, che raccoglie vari saggi risalenti agli anni ottanta, viene percorsa la genesi dell'idea di un "pensiero debole", secondo la peculiare curvatura che a questo viene fornita dall'autore sulla base della sua formazione originariamente fenomenologica e marxista. In questo quadro il pensiero debole acquisisce un'impronta etica, o meglio morale, emerge in breve la questione della soggettività. Da questo punto di vista la "debolezza" può riconoscere anche la propria genealogia politica: il tema dei bisogni in Marx, che si era affacciato attraverso la Heller ed era stato ulteriormente promosso dallo stesso Rovatti, indicava infatti già un andamento che fluidificava le rigidità del pensiero marxiano in direzione di un'insorgenza del soggetto. Ma il problema viene a porsi in tutta la sua cogenza nel passaggio teorico che conduce dal marxismo a Nietzsche e a Heidegger, laddove si profila l'idea di una soggettività che rotola dal centro verso una 'x' che è perdita del sé, erosione della continuità dell'Io. È su questa base che si dà l'avvicinamento alla narratività e anche alla letteratura vera e propria (sono numerosi i riferimenti a Peter Handke), secondo un gioco che rimanda all'oscillazione tra il pieno e il vuoto, e mette capo all'abbandono dell'Uno metafisico a favore dell'estrinsecarsi del molteplice. Su questo piano l'idea del pensiero debole esplica anche la sua potenzialità conoscitiva, epistemologica. Ciò comporta che si prenda partito a favore del contingente. Questo significa, quasi kantianamente, riconoscere la ricchezza dell'individuale, anche nel suo tratto opaco, non riducibile alla legge. Il "locale" richiede costantemente un'adeguazione che lascia liberi dei margini ulteriori di senso, l'attenzione dunque al carattere di evento (Prigogine) dotato di una storia singolare di ciò che è oggetto d'indagine.
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