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Trascurate Milano - Luca Ricci - copertina
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Trascurate Milano

Descrizione


Un racconto perfetto – una preghiera laica – che ci affranca dal rituale ipocrita della festa, ma che ci rende tutti più umani.

«Luca Ricci scava nelle pieghe dell’animo umano e ci lascia interdetti, nudi, esterrefatti, di fronte alla verità dei sentimenti»Huffington Post

Un uomo e una ragazzina nel freddo Natale di Milano. Una storia d'amore sorprendente che nasce nei vagoni della metropolitana. Lui, sposato con figli, mentre va e torna dal lavoro, cerca un contatto con gli altri attraverso i loro corpi, entra nella vita di perfetti sconosciuti con piccoli abusi e prevaricazioni che lo rendono un molestatore. Lei è Martina, studia odontoiatria e non ha la leggerezza delle ragazze della sua età.
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Dettagli

2018
15 novembre 2018
86 p., Brossura
9788893447140

Valutazioni e recensioni

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Raffaella Bianchi
Recensioni: 4/5

Un racconto antinatalizio di Luca Ricci che, dopo “Gli autunnali”, torna a pedinare un uomo senza nome in cerca di amore. Stavolta la ricerca non avviene nell’atmosfera romana pigra e decadente in autunno, ma nel ventre anonimo e asettico di Milano. Sopra, il buio. “ A dicembre il buio è la chiave della città. Le buone maniere, per esempio: la gente per strada non si saluta per gentilezza, ma per farsi coraggio.” E allora, gioco forza si scende sotto, in metropolitana. Dove le luci artificiali e il vento causato dai treni accolgono una massa di corpi sconosciuti. Lui, il protagonista senza nome, ha una moglie e una figlia, che ripassa le tabelline con lui prima di andare a scuola. C’è anche un’amante storica, che l’uomo incontra in hotel che offrono il day use (l’equivalente dell’antico albergo a ore). L’uomo vuole ostinatamente fuggire dall’ipocrita ripetizione dei riti, che siano natalizi o piccolo-borghesi (lavoro fisso – moglie – figlia – amante). E per farlo non può che cercare uno sguardo, un contatto fisico nella calca indistinta della metro. Un corpo sconosciuto che gli apra un varco nel buio invernale. Quanti di noi che lo seguiamo non abbiamo almeno una volta cercato quel varco in uno sguardo fuggevole in metropolitana, in un sorriso distratto al bancone di un bar? Il protagonista trova un appiglio in Martina, giovanissima efebica ragazza che incontra in metro. E che si ostina a pedinare ripetendo lo stesso percorso per vari giorni. Un’ossessione amorosa che non può aver luogo che a Milano, nella monotona e rassicurante puntualità dei mezzi. Martina è giovane, ma non ingenua: conduce lei il gioco, porta l’uomo in superficie, fra i suoi amici. Ma è solo nel ventre della metro che avviene realmente l’incontro...

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Serena
Recensioni: 1/5

Milano non è come viene descritta in questo libro, non ritrovo l’atmosfera e nemmeno la forza della città. È un libro pieno di noia ed egoismo che non porta a nulla di nuovo.

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Cristina C.
Recensioni: 5/5

Divorato. Si può trovare l'amore dentro il buio di Milano e della sua metropolitana? La risposta è sì, se si accetta di lasciarsi alle spalle luoghi comuni e pregiudizi. Unico difetto, finisce troppo presto.

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Recensioni

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Voce della critica

Luca Ricci torna in libreria dopo la parentesi romanzesca de Gli autunnali (ne abbiamo scritto qui), uscito sempre nel 2018 per La Nave di Teseo, con il quale è entrato anche nella selezione dello Strega. Proprio lui che ha fatto del racconto il suo marchio di fabbrica e fra i pochi nel panorama italiano contemporaneo a essere stato in grado di restituire dignità al raccontare breve, è riuscito in questo caso a giustificare l’uscita in singolo volume e non in raccolta di un unico racconto, forse un nuovo orizzonte editoriale? Lo ha fatto, come da lui pomposamente dichiarato, nella ricerca del «gesto perfetto» (ai lettori l’ardua sentenza), con una scrittura altamente letteraria e mai banale che necessita di mezz’ora o poco più di lettura, con un’ammaliante titolo e copertina, titolo che oltre ad essere un già significativo imperativo categorico, è anche parte di una citazione (come da epigrafe) dell’amato Buzzati, un maestro per ogni “raccontista” che si rispetti.

I prestiti buzzatiani in questo caso si fermano qua perché in Trascurate Milano (86 pagine, 9 euro), si trovano piuttosto echi del più sfrontato Bukowski, del più dissacrante Philip Roth. Alcuni dei temi del racconto di Ricci (autore anche de I difetti fondamentali, di cui abbiamo scritto qui) utilizzano quantomeno la stessa scomoda ossessione del sesso che i due maestri americani hanno messo nelle loro opere in chiave anti-puritana e di sfida e sberleffo al decadimento e alla morte, denunciando la vacuità delle convenzioni del quieto vivere borghese, le complicazioni dell’amore, la nostalgica visione del passato con tutte le sue illusorie promesse di felicità.

Il protagonista è un indolente esponente della classe media meneghina, un poco più che cinquantenne indaffarato fra la sua impeccabile vita in “superficie” fatta di un lavoro onesto, un’apparentemente tranquillo menage familiare e la sua vita del sottosuolo che si svolge ogni mattina nelle gallerie della metropolitana dove avvicina e palpeggia ignare donne fino a che una poco più che adolescente studentessa di odontoiatria sembra ricambiare le sue sconce avances e addirittura lo invita a riemergere assieme a lei. La metro di Milano con quel vento che si insinua nei «cunicoli ronzanti al neon», con «quell’aria frizzantina dolomitica» e con l’abietta attività del nostro, diventa simbolicamente il «fetido sottosuolo» dostoevskiano, ricettacolo di ogni più sordida passione e miserabile e insondabile istinto, ovviamente nascosto sotto una bella patina di compiacenza e buone maniere. La manomorta (per niente ecclesiastica) del protagonista diventa nell’economia del racconto quasi una categoria esistenziale, quella del cinquantenne disilluso e disperato anche se apparentemente inquadrato e soddisfatto, quando in realtà è un cinico nichilista in continua combutta con il decadimento gerontocratico.

La vita del protagonista racconta «quella sensualità delle vite disperate» cantata da Paolo Conte, «sprofondati in fondo a una città…la nostra la nostra stanza negli alberghi tristi» con «l’amante storica» del palpeggiatore  (il quale evidentemente non si accontenta dei palpeggiamenti), stanze di albergo, dove in feriali e malinconiche mattine viene consumato del sesso vicendevolmente fedifrago, mentre fuori dalla finestra continua il rito degli acquisti prenatalizi, con quella luce di dicembre milanese che sembra «l’acqua quando viene risucchiata dal lavandino», con quell’atmosfera decadente e malinconica, vagamente dannunziana che sembra far assomigliare il protagonista all’Andrea Sperelli de Il piacere, salvo accorgersi che non siamo a Roma ma a Milano e che mancando l’esteta rimane solo un molestatore che sprofonda nel suo nulla esistenziale insieme alla studentessa di odontoiatria incontrata in metropolitana, «questa ragazzina magra che detesta tutto quanto me», questa Martina che «permette che io veda il suo male di vivere»…«è più perversa di me in un certo senso», una specie di Lolita di fronte al suo Humbert.

Milano è lo sfondo ideale alla storia, anzi in qualche modo diventa la protagonista principale del racconto di Ricci, la cornice attraverso la quale guardare la realtà e i personaggi che la abitano. La sua luce soprattutto diventa la cornice della città e ne determina la percezione, “quella luce fioca da vecchia sala da biliardo” sembra la stessa luce dell’anima del protagonista e della stessa Martina, priva della leggerezza delle ragazze della sua età e che al netto dello scarto generazionale, sembra afflitta dalla stessa ferita del molestatore fedifrago. Una Milano tanto artificiosa e sepolta sotto la cortina delle apparenze e delle convenzioni, tanto da far domandare al protagonista alla visione della vetrata della Galleria Vittorio Emanuele (la stessa della copertina) «a cosa serva il cielo se si possono avere delle vetrate così lavorate, tripudio di ferro e arte?». Una chiave di lettura può essere proprio la critica a un certo per quanto stereotipato, atteggiamento milanese verso la vita, a un certo vivere “borghese”, inautentico e fasullo, fatto di sorrisi striminziti, cortesia, garbo di circostanza e grandi “ahh ma daaai” che fanno venire in mente alcune scene dei film di Antonioni della cosiddetta “trilogia esistenziale”.

La marcia di avvicinamento al Natale che ci prospetta Luca Ricci nel suo racconto diventa una cupio dissolvi, il malinconico canto del protagonista scandito lungo i diciotto giorni che precedono la festività, almeno io ne ho contati tanti e quindi andando a ritroso dalla vigilia del 24 dicembre, con il finale che è la degna catarsi al tono del racconto, a poco prima della festa dell’Immacolata, quell’8 dicembre che è anche l’inaugurazione ufficiale della festività in tutte le cattedrali laiche dei nostri giorni che sono i centri dello shopping. Alcuni dei temi che Ricci affronta, come già avvenuto ne Gli Autunnali con il quale questo racconto condivide la stessa atmosfera crepuscolare, possono apparire scomodi e politicamente scorretti, ma in fondo si tratta solo di letteratura, assimilata, vissuta e padroneggiata dall’autore, infatti vi sono nel racconto molti prestiti letterari, ben dosati, impliciti, mai esibiti, perché solo di letteratura si tratta, fino in fondo, di quella buona, pura e che basta a se stessa per lo spazio della lettura e non cerca corrispettivi altrove. Ciò nonostante, sotto la maschera nichilista, cinica e vagamente misogina dei suoi personaggi, spicca la voce del narratore e la valenza morale del fustigatore dell’ipocrisia borghese, un piccolo Moravia virato al racconto breve, una voce forse non conciliante e impietosa, ma viva, pulsante e tenera, altrove stralunata o intrappolata in uno smacco logico, come quella degli anti eroi alla deriva dei suoi racconti che non si possono che amare, forse perché sono un po’ come noi tutti.

Questo Trascurate Milano è un atto di resistenza ai riti del Natale, nel senso più ampio possibile, un “antidoto al Natale” (per chi ne senta il bisogno ovviamente), come il protagonista definisce la stessa Martina, un controcanto natalizio o se preferite un racconto semplicemente anti-natalizio, anti-milanese o quello che volete, sicuramente non da leggere davanti al camino fra famiglie felicemente riunite in mezzo a panettoni, festoni e ghirlande. Ecco in tali situazioni il racconto di Ricci non potrebbe trovare ospitalità a meno che non si consideri un racconto come una persona, qualcuno che pur con tutti i suoi difetti, storture e turpitudini meriti il nostro sguardo tenero, il nostro affetto e la nostra accoglienza e non solo a Natale, come gli antieroi borghesi, annoiati e soli del racconto di Luca Ricci.

Recensione di Simone Bachechi

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Conosci l'autore

Luca Ricci

1974, Pisa

Luca Ricci, nato a Pisa nel 1974, è scrittore e drammaturgo.Insegna scrittura. I suoi racconti sono usciti nelle antologie Attenzione! Uscita operai (Noreply 2007), Quello che c'è fra noi (a cura di Sergio Rotino, Manni 2008), Storie scellerate (a cura di Ettore Malacarne, Cabila 2009) e su riviste come «Il caffè illustrato» e «Atti impuri».Tra i libri pubblicati: Il piede nel letto (Alacrán 2005, Premio Cocito- Montà d'Alba), L'amore e altre forme d'odio (Einaudi 2006, Premio Chiara), La persecuzione del rigorista (Einaudi 2008), Come scrivere un best seller in 57 giorni (Laterza 2009), Mabel dice sì (Einaudi 2012), I difetti fondamentali (Rizzoli 2015), Gli autunnali (La nave di Teseo 2018).

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