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La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa - Albert J. Ammerman,Luigi Luca Cavalli-Sforza - copertina
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La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa
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1986
212 p., ill.
9788833900438

Voce della critica


recensione di Sella, G., L'Indice 1986, n. 7

Gli autori, un genetista, Luigi L. Cavalli-Sforza, ed un archeologo, A.J. Ammerman, descrivono in questo volume, in forma abbastanza analitica, ma molto chiara anche per il lettore non specialista n‚ in archeologia n‚ in genetica, i frutti di un sodalizio scientifico iniziato circa 15 anni fa e riguardante la ricostruzione del modo con cui si è verificata in Europa la transizione dal paleolitico e mesolitico, caratterizzati da una forma di vita basata sulla caccia e sulla raccolta, al neolitico, caratterizzato dallo sviluppo dell'agricoltura. È quest'ultima, forse, la più importante trasformazione che si è realizzata nella condizione umana, per i suoi riflessi sulla struttura sociale e biologica delle comunità.
Gli autori del libro partono dall'ipotesi che le modalità di diffusione dell'agricoltura in Europa, a partire da un centro di diffusione dell'Asia sud-occidentale, possano spiegare certi enigmi della variabilità genetica delle popolazioni europee attuali. La loro ipotesi interpretativa viene avvalorata dalla convergenza di diverse linee di testimonianze indipendenti, provenienti sia dalla ricerca archeologica sia dalla ricerca genetica.
Gli autori tralasciano di raccontare quel non molto che si sa dell'origine dell'agricoltura e che l'archeologia ha contribuito a documentare solo durante gli ultimi quarant'anni e preferiscono discutere il problema della valutazione dei reperti archeologici d'un economia di tipo agricolo. Secondo gli autori, la traccia di semi di piante coltivate deve essere accompagnata da tracce di vita stanziale (tracce di case o di lavorazione della ceramica) per dare la sicurezza di essere in presenza di una popolazione che sta attuando la transizione dal mesolitico al neolitico. Con sicuro sollievo per il lettore non esperto, la tipologia degli utensili di pietra non viene considerata come probante elemento di datazione di un sito neolitico in quanto poco rappresentativa della transizione culturale dal mesolitico al neolitico.
Identificati e datati un certo numero di siti neolitici in Europa, gli autori si pongono il problema delle modalità con le quali si è diffusa l'agricoltura in Europa. Diffusione di tipo culturale, per cui i cereali e le tecniche agricole si sono diffusi da un gruppo all'altro senza lo spostamento geografico delle popolazioni stesse, oppure diffusione demica, per cui sono gli agricoltori che si spostano, spinti a migrare dalla loro prolificità in continua espansione e con essi si sposta anche la loro cultura?
Tutto il libro è incentrato sulla dimostrazione della plausibilità del secondo modello, il che ovviamente non esclude che anche il primo si sia realizzato e sovrapposto al secondo. L'archeologia può dimostrare che la velocità di avanzamento dell'agricoltura in Europa, stimata mediante il metodo della datazione con il carbonio-14 dei reperti organici dei siti neolitici, fu di 1 km all'anno, cioè di 25 km per generazione. Quindi occorsero poco più di 2000 anni perché l'agricoltura si diffondesse dalla Grecia all'Inghilterra. Gli autori adattano ai dati così ottenuti il modello dell'onda di avanzamento, il quale prevede che, in corrispondenza di una popolazione con un determinato tasso di crescita e di attività migratoria (sono queste le due variabili indipendenti da stimare), prenderà forma un fronte d'onda, che avanzerà ad una velocità radiale costante.
Un tale modello ha delle implicazioni importanti per la struttura del patrimonio genetico delle popolazioni europee. L'ipotesi degli autori è che le popolazioni autoctone di cacciatori-raccoglitori fossero piccole, lontane le une dalle altre, fortemente differenziate dal punto di vista genetico per ragioni casuali, come sempre accade ai piccoli gruppi isolati, e che siano avvenuti matrimoni tra gli agricoltori in espansione e i raccoglitori-cacciatori locali. Se così sono andate le cose e se questo evento ha plasmato in modo profondo la struttura genetica delle popolazioni europee (le invasioni barbariche sono state da questo punto di vista molto secondarie perché costituite da gruppi numericamente esigui), si dovrebbe poter trovare nelle frequenze di certi geni delle attuali popolazioni un gradiente che va da oriente ad occidente, secondo l'asse principale dell'espansione dell'agricoltura, così come è documentato dalle datazioni archeologiche.
È questa la parte più originale ed interessante del libro. Il modello genetico viene introdotto prima in una forma semplificata e schematica in modo che esso risulti chiaro anche al lettore meno informato dei metodi della genetica di popolazioni, e gli sia quindi più facile assimilare le complicazioni che vengono via via introdotte nel modello per renderlo più aderente alla realtà. In questo, la capacità di divulgazione di Cavalli-Sforza, peraltro non nuovo a questo genere di sforzi intellettuali, e senz'altro rimarchevole.
Valendosi di una metodologia statistica complessa, l'analisi delle componenti principali (difficile da applicare in questo caso per la mancanza di precedenti analoghi dai quali stimare la convenienza del metodo), è stato possibile estrarre dalla variabilità della frequenza di ciascun gene esaminato la parte dovuta a cause di variabilità comune anche agli altri geni. Queste informazioni sono state sfruttate per ricavare delle mappe che permettono la ricostruzione dei movimenti di popolazioni avvenuti in passato ma tuttora riflessi nella struttura genetica degli europei e confermano la validita del modello dell'onda di avanzamento. Questa parte del lavoro è frutto anche della collaborazione con un gruppo di genetisti italiani.
Dal punto di vista metodologico il tentativo di ricostruzione storica descritto nel libro è molto importante per diverse ragioni. Innanzitutto è stato reso possibile dall'esistenza, ancora pionieristica, come sottolineano i due autori più volte, di un'archeologia che adotta metodi statistico-quantitativi. In secondo luogo, questo è uno dei primi esempi del contributo che le informazioni genetiche possono dare alla ricostruzione di eventi fondamentali per la storia dell'umanità. Le interazioni tra ricerca storica e biologia delle popolazioni umane, anche se ancora scarse, sono infatti estremamente feconde, come testimoniano i saggi che sporadicamente vengono pubblicati sulle "Annales".
La lettura del libro, la cui traduzione in italiano mi sembra sostanzialmente corretta, dovrebbe risultare di grande interesse anche per il lettore non specialista. Certamente però la comprensione del testo, anche se l'esposizione è molto chiara, richiede un'attenzione sostenuta nella lettura.

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