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L’indagine di Augé si concentra sull’analisi dei non-luoghi, cioè di quei luoghi spersonalizzanti, difettosi di sociabilità e solidarietà, in cui non si condensano le identità, ma ci si ammassa solo per ragioni consumistiche. Gran parte della storia dell’urbanistica del Novecento è stata dominata dalla creazione di non-luoghi, anche come conseguenza del fenomeno della globalizzazione, che tende ad omologare i soggetti, ad annullare le differenze culturali e a segnare una demarcazione molto più netta tra gli attori economici in base al loro potere d’acquisto. La globalizzazione, in sostanza, ha generato una forza centripeta che richiama i soggetti nei “centri” commerciali, i non-luoghi, appunto, ma dall’altro, anche una forza centrifuga, che ha spinto la popolazione ad abbandonare i centri delle città e ad ammassarsi nelle periferie, alla ricerca di luoghi identitari, come ghetti, banlieues e Gated Communities. Quest’ultimo fenomeno non è che l’apoteosi dell’esclusione sociale, la conferma più evidente del fatto che le politiche statali hanno smesso di occuparsi di inclusione sociale e, abbandonati alle logiche liberiste, hanno dimenticato che le disuguaglianze stavano montando fino ad esplodere con violenza. L’analisi dei non-luoghi permette di leggere l’epoca attuale sotto la categoria di surmodernità, definita attraverso tre figure dell’eccesso: di tempo, di spazio e di individualismo. Tali processi portano alla caduta dei confini nazionali da un lato, e alla costruzione di nuove frontiere dall’altro, presidiate da gente in armi, da esercito, polizia privata o bande criminali. Ecco che Augé ritiene che non è proprio in atto una crisi di identità collettiva, ma una crisi dello spazio e una crisi di alterità, mentre le identità risultano al riparo all’interno delle comunità.
Recensioni
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La riflessione sulla città di uno dei più grandi antropologi del contemporaneo.«In questo breve saggio intendo affrontare tre questioni chiave. La prima è l'urbanizzazione del mondo, a mio avviso un aspetto fondamentale di quella che viene comunemente chiamata mondializzazione o globalizzazione. La seconda riguarda il fatto che le immagini e i messaggi da cui siamo costantemente circondati generano in noi veri e propri effetti di accecamento, soprattutto riguardo al fenomeno dell'urbanizzazione: vediamo troppe cose, e alla fine è come se non vedessimo più niente. Infine, vorrei interrogarmi sull'idea di mobilità: una nozione estremamente complessa, in quanto nell'ambiente urbano non tutto si muove, ma al tempo stesso si muovono molte cose. Forse è proprio a questo tipo di mobilità che dobbiamo pensare, se vogliamo evitare di subirla in modo acritico.»
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