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La protagonista è energica e simpatica, ma le lunghe descrizioni per immagini lasciano un pò distaccati. E' il primo libro che leggo di Hrabal...da riprovare.
Uno dei migliori libri di Hrabal, un vero e proprio inno alla libertà e al cambiamento. Un ritratto femminile appassionato (dietro c'è probabilmente la mamma dell'autore) e riuscito. Imperdibile la scena del taglio della cosa al cagnolino.
Maryska, una donna piena di vita. Il mondo pieno di ottimismo. E una narrativa positiva. Dopa la lettura ho avuto voglia di VIVERE VIVERE VIVERE!!!
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Chiarloni, A., L'Indice 1988, n. 2
Con questo prezioso volumetto della "Collana Praghese", arricchito dai bei collages di Giuseppe Dierna, la e/o propone il primo romanzo breve di una trilogia dedicata alle vicende familiari di Hrabal intorno agli anni venti. Le figure di Maryska, del marito Francin e di suo fratello Pepin sono infatti riconducibili ai genitori e allo zio dello scrittore ma la chiave autobiografica non esaurisce, direi anzi intralcia, la lettura del testo, tutto centrato sulla descrizione di una femminilità dolce e straripante, ribelle e allo stesso tempo teneramente domestica.
È la stessa Maryska a raccontare la storia, ed è lei che "sgambettando come una giovane gazza" e maneggiando con felina destrezza la massa dei suoi capelli biondi e "tempestosi", decide la regia dei rapporti con gli altri personaggi, tutti maschili, tutti sedotti - cani, cavalli e maiali compresi - da quella prorompente, generosa e sana vitalità che la caratterizza. Sullo sfondo di una cittadina di provincia negli anni che seguono il tramonto dell'impero austrungarico, Hrabal sembra voler recuperare - ed è una voce non isolata nei paesi socialisti, dove la burocratizzazione del privato ha inciso più che in occidente - sentimenti e linguaggi, rituali domestici e sociali ormai scomparsi. Nella dimensione ridotta ma felice (e qui mi permetto di dissentire da Dierna, che vi vede piuttosto una situazione di "assedio" e di "doppio accerchiamento") di uno spazio domestico con annessa fabbrica di birra, amministrata dal marito, ma nella quale la protagonista scorazza a piacere - si veda la scena del bagno, preso al lume di candela in una botte di legno, utilizzando l'acqua calda della accogliente sala macchine: una vera elegia, dedicata a un ambiente di lavoro ormai scomparso, in cui non a caso s'innesta un viaggio onirico verso l'infanzia - qui dicevo, nella calda luce delle lampade a petrolio, Hrabal dà voce alla femminilità sensuale e ironica, sapiente ma anche candidamente infantile di Maryska.
È soprattutto l'esaltazione dei sensi, del gusto, del tatto, dell'odorato, che colpisce: questa vorace e splendida moglie bambina non mangia, bensì "divora", non tocca ma "accarezza", e "gioca col vento", e fiuta la vita e l'amore ma anche le spezie per fare i salami, e va "in visibilio" alla vista dei colori di fegato e coratella del maiale appena sgozzato. E nel sangue ci mette volentieri le braccia fino al gomito perché - da brava casalinga - sovrintende al macello di quei quattro maiali, che assieme agli indomiti cavalli "sono anche un po' il suo ritratto", per poi iniziare con le mani sanguinolente una sorta di giocoso balletto pagano, che rimanda ai tempi in cui "la gente credeva nella forza del sangue e delle salive", trascinando in tal modo anche i membri di una compassata riunione, che ha luogo nella fabbrica adiacente, in una torrentizia risata liberatoria. Si capisce che un tipo così il marito se lo rigira tra le mani come vuole, tanto più che lui è di quelli col colletto duro, ma timido e casto, e soprattutto "schiacciato stramazzante dall'amore". Maryska però - e questo è un tratto che Hrabal rende con uno stile da gran romanziere - è sì conscia del suo fascino fino al narcisismo, ma è moglie fedele e tenerissima, sapiente regista di un malioso e costante amore coniugale. Qui Hrabal ha pagine intense - si veda il rituale, quotidiano ritrovarsi sotto il paralume a saliscendi, che lei abbassa ogni volta inscrivendo i corpi avvinti in un cerchio di luce, in un intimo "bagno purificatore", tra pendagli fruscianti "come gli ornamenti sui fianchi di una danzatrice turca" - pagine struggenti ma anche scherzose, spesso umoristiche, proprio perché lei sa benissimo di ammaliare lui come "il pitone tigrato quando fissa un fringuello smarrito". Il gioco procede teso e scoppiettante attraverso varie vicende fino a quella conclusione che segna anche la fine di un'epoca: con le prime radio, in città arriva il charleston e la gonna corta, Maryska è la prima a seguire la nuova moda e, con la determinazione che le è solita oltre al vestito e alle gambe delle sedie, taglia anche la coda al cane di casa, in una scena che ben riassume la sua personalità: Mucek non viene legato, semplicemente "sedotto" con un cannolo alla crema, dolcemente offerto con una mano, mentre l'altra gli mozza la coda con un sol colpo di scure. Anche se l'episodio è descritto in chiave comica, il lettore avverte tuttavia che qualcosa si sta ormai incrinando. È questo, infatti, il primo "peccato mortale" di Maryska. La notte il cane diventa idrofobo e viene abbattuto con la rivoltella: solo il mondo animale sventa con la morte quella mutilazione della natura imposta dalla moda, che domina le ultime pagine.
Maryska, invece, si taglia allegramente i capelli. E con il taglio "alla maschietto" di Josephine Baker, Hrabal sigla - anche attraverso il titolo - il tramonto irrimediabile di un microcosmo familiare ancora denso di memorie austrungariche, di saperi artigianali e umanissimi, di quei saldi affetti domestici che impregnano un mondo sfiorato ancora - ma per poco - da "quella luce dorata delle lampade a petrolio, che lancia ombre profonde e obbliga a camminare piano, con prudenza, e a sognare".
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