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Tira scirocco - Monica Gentile - copertina
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Tira scirocco - Monica Gentile - copertina

Descrizione


Sicilia, anni '50, in un paesino di pescatori lo scirocco imperversa e comanda i destini. In questa striscia di terra, soffocata tra la costa e il Monte Fauso, le esistenze scorrono lente e uguali. Finché un giorno il solitario e misterioso Barone Ranciforte crea tumulto tra le tante malelingue che bollano come sacrilega una sua singolare abitudine. Potrà mai il mondo dell'agiatezza incontrare quello della fatica? Dalla somma delle tante voci, il racconto di una Sicilia luminosa e aspra che dal secolo scorso guarda all'incomunicabilità dell'oggi.
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Dettagli

2014
21 maggio 2014
110 p., Brossura
9788863156751

Voce della critica

  Il breve romanzo, segnalato dal comitato di lettura del Premio Calvino, è ambientato in Sicilia, a Bagnomaria, un paesino di mare immaginario, ma descritto nelle cose e nelle persone con grande vivezza e naturalezza. Forse la Sicilia sta diventando una sorta di contenitore per scontati manierismi dei quali sarebbe automatico gettare la responsabilità su Camilleri e il suo straordinario successo. Ma non ci si può liberare di Scirocco con una snobistica alzata di spalle. Cominciando dal linguaggio: i regionalismi sono efficaci e non scontati (ne citiamo uno tra tutti: "A Bagnomaria stranieri non ne vengono, e coi pochi che ci sono stati di passaggio, non c'abbiamo mai fatto il pane") e anche le parti in pretto italiano non sono decisamente da meno: "I santi hanno scopato il cielo stamattina, non c'è nemmeno una nuvola. Un sole sfacciato allaga lo studio del barone". E poi i personaggi: il barone che porta i fiori sulle tombe dei "non parenti", né amici (scandalo agli occhi della comunità paesana), ma soprattutto la figura del padre, terragno e di umili origini in contrasto con la madre baronessa e cittadina. Ovvio che la figura del padre faccia pensare a illustri antecedenti, ma qui è proposta con un garbo raro ed efficacissimo. E tutti i comprimari, da Luzzo, l'autista del barone, a padre Bennici, il parroco (molto bello il suo racconto della morte di Sasà Prinzivalli), a Vicé, detto Mandolino e all'Americano che vende i fiori davanti al cimitero. E di qui, dai soprannomi, si dipana una gustosa digressione su come nel paese il nome e il cognome delle persone siano sempre completati dalla 'ngiuria. Persone, appunto. O quantomeno personaggi. Mai macchiette. Particolarmente originale, poi, è il modo teatrale in cui sono strutturati i capitoli, dove compaiono quasi sempre due personaggi che prendono rilievo l'uno dall'altro nel conflitto, più o meno palese, che li contrappone. Così è già nel primo capitolo, magistrale, in cui al cimitero, davanti alla tomba di Sasà, vediamo accanto al barone il forte e riuscitissimo personaggio antagonista di Nunziata, e tale struttura si ripete in quasi tutti i capitoli seguenti (Vicè e la ragazza che voleva suicidarsi, Nunziata e padre Bennici, il barone e Nuzzo, Nuzzo e l'Americano ecc.) fino al confronto-scontro finale, sempre al cimitero, fra lo stesso barone e l'intero paese che, guidato da comare Nunziata, gli chiede ragione del suo strano comportamento (perché mai porta i fiori ai "non parenti"?). Elemento teatrale che fa immediatamente pensare a un altro illustre antecedente regionale, Luigi Pirandello, cui sembra anche rimandare il tema del conflitto di mentalità tra la gente comune (i paesani) e l'intellettuale (il barone). Un libro in cui la "maniera" Sicilia denuncia una sua (tutta da indagare) parentela con la "maniera" Colombia di Garcia Marquez, oltre che con la propria tradizione regionale.   Luca Terzolo

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