Territorio comanche

La guerra vista da un nuovo punto di vista. È un libro che vale la pena di leggere per la sua scorrevolezza, la sua ironia e allo stesso tempo la sua serietà. Basato su fatti reali, episodi vissuti dall’autore stesso

Nel territorio comanche non vedi nulla ma sai di essere osservato, e la morte può venire da lontano, e neanche la vedi arrivare. Vita (e morte) dei cronisti e fotografi di guerra in un teatro inimmaginabile solo pochi anni prima.

Un romanzo questo di Arturo Perez-Reverte duro, intenso: una descrizione impietosa, senza veli, senza infingimenti e senza retorica della vita dura e pericolosa del reporter di guerra. Il “territorio comanche” è quella fascia di terreno del tutto de-regolato in cui si fronteggiano opposti eserciti/opposte fazioni, quindi, a tutti gli effetti, una zona dove può succedere di tutto e dove il giornalista di guerra non ha alcuna protezione rispetto ai rischi cui sono esposti i combattenti La vicenda è ambientata in un teatro di guerra della Croazia: mentre Màrquez, giornalista video di guerra, assieme ad altri della sua piccola troupe, è in attesa di riprendere le immagini di un ponte prossimo a saltare in aria, in un tempo breve eppure soggettivamente interminabile, scorrono nella sue mente le immagini della sua vita di reporter di guerra e di infiniti episodi, si illuminano improvvisamente i volti di colleghi di lavoro morti tragicamente sul campo e di altri scampati miracolosamente all’esposizione ad un pericolo estremo, vengono narrati concisi aneddoti di vita di guerra e di bagordi. Viene illuminata di colori inquietanti (e in parte romantici) la vita difficile del “vero” reporter di guerra, quello che si espone, rischiando in prima persona e andando a realizzare i suoi servizi sino alla linea del fuoco, in una situazione in cui l’esposizione al pericolo (che, per quanto calcolabile, contiene insito in sé sempre una cifra imponderabile) si tramuta in una vera e propria dipendenza dal rischio, con la conseguenza di una profonda difficoltà a “smettere”, ad ascoltare la voce della ragione, a rinunciare, a fare l’ultimo servizio di guerra per poi ritirarsi ad un lavoro da giornalista più sedentario. Il romanzo, pur nella finzione narrativa, offre uno scorcio della biografia e dell’esperienza personale dell’autore che prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha per anni lavorato come giornalista e anche come reporter di guerra.