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La teoria semantica dell'evoluzione - Marcello Barbieri - copertina
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La teoria semantica dell'evoluzione - Marcello Barbieri - copertina
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1985
211 p., ill.
9788833900018

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Giancarlo Locarno
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Libro difficile ma che affronta un problema affascinante, come è nata la vita. Discute le varie teorie, alla classica definizione di genotipo e fenotipo affianca il ribotipo, stabilendo l'importanza fondamentale anche dei ribosomi nell'origine delle prime cellule. Libro particolare che fa pensare.

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Voce della critica


recensione di Fasolo, A., L'Indice 1985, n. 3

"Quando il nucleo manda un Rna-messaggero al citoplasma, il messaggero 'è' il messaggio. È come se la natura scrivesse la parola 'mela', per esempio, e poi la parola si arrotolasse su se stessa e diventasse una mela reale.
Questa profonda unità di struttura e funzione a livello molecolare dà alla vita una realtà 'corporale' che non esiste nel mondo astratto delle lingue, e rende difficile capire non tanto il fatto che la vita 'ha' un linguaggio, quanto l'idea più sottile che la vita 'è' un linguaggio. Da questo punto di vista, la teoria semantica può essere riassunta dicendo che 'la vita è il linguaggio che la natura ha imparato a parlare sul nostro pianeta'".
Le parole che chiudono il libro di Marcello Barbieri ne compendiano bene le novità di contenuti e di forma (e contemporaneamente ne evidenziano i limiti).
Innanzitutto vediamo quale è (anche se per sommi capi) la teoria che informa di sé tutta l'opera. Come fa rilevare Erasmo Marrè nella sua presentazione, Barbieri arriva ad attribuire al "ribotipo" rilevanza pari a quella del genoma (il celebrato e mitico Dna) da un lato, e dell'apparato espressivo delle proteine dall'altro. Il sistema biologico finora identificato in una dualità, genotipo/fenotipo, diviene una "trinità", ove con pari dignità siede il ribotipo. Ma che cos'è il ribotipo?
Il ribotipo, nell'accezione di Barbieri, è il sistema formato da tutte quelle molecole biologiche fondamentali che contengono lo zucchero ribosio e, prime fra tutte, gli acidi ribonucleici (siano essi del tipo messaggero, transfer o ribosomiale). Sono proprio questi acidi ribonucleici (Rna) che permettono al patrimonio ereditario di farsi realtà compiuta nelle proteine, di realizzare insomma il genotipo in fenotipo. In particolare nella teoria del ribotipo, la maggior enfasi è attribuita al ruolo dei ribosomi, di quelle "macchinette molecolari" capaci di contenere informazione lineare (come il Dna) e di portare a termine operazioni tridimensionali nello spazio. Partendo da questi concetti viene così ripensata l'origine della vita e dei diversi tipi di cellule. La vita, secondo la concezione di Barbieri, ebbe origine sulla Terra dagli antenati dei ribotipi ed alla luce di questa teoria devono essere riesaminate le relazioni evolutive fra organismi procarioti (batteri e alghe azzurre) e organismi eucarioti (piante, funghi, animali). Si giunge così a formulare una nuova teoria della cellula, ove la dicotomia fra procarioti ed eucarioti viene ridotta alla dicotomia fra i loro ribotipi. Nello stesso tempo vengono letteralmente demolite le altre ipotesi sull'evoluzione cellulare, prima fra tutte la notissima teoria procariotica, che accetta la priorità evolutiva dei procarioti e fa derivare da procarioti i primi microrganismi dotati di nucleo, da cui sarebbero infine originate tutte le creature multicellulari .
Non solo: la teoria si espande a spiegazione dell'evoluzione, concludendo che l'adattamento biologico è di due tipi, uno più convenzionalmente "darwiniano", di adattamento all'ambiente, ed uno di adeguamento ai cicli naturali. A determinare l'evoluzione coesisterebbero due meccanismi fondamentalmente differenti: la selezione naturale e, assai più importante, il sistema delle "convenzioni naturali". In quest'ultimo meccanismo si compendierebbero molte delle caratteristiche "semantiche" dell'evoluzione.
Da questa veloce esposizione dei contenuti appare subito evidente che il libro di Barbieri non può essere inquadrato nei soliti schemi interpretativi: non è una divulgazione tradizionale, non è un saggio iniziatico. Certo i ribosomi (e la loro importanza biologica) non li ha scoperti Marcello Barbieri, n‚ il suo compito è stato soltanto quello di rendere la voce ai diseredati (leggasi i ribosomi). L'autore ha scritto in modo estremamente piacevole un testo di biologia teorica dove la correttezza e l'aggiornamento del dato scientifico si coniugano con un modo acuto e stringente di argomentare. In questo senso la novità è grande: la ricerca in biologia "teorica", in Italia sembra infatti un po' eretica e deve scontrarsi con una diffusa mentalità scientista, ove si cela una incultura scientifica generalizzata. L'autore ama poi molto la polemica come fattore maieutico, e finisce col gettare molti sassi in piccionaia con le sue affermazioni e confutazioni su punti cruciali della biologia, quali la diade genotipo / fenotipo, il problema delle origini (della vita e delle cellule diverse), i meccanismi dell'evoluzione, le difficoltà drammatiche di far coesistere teoria dell'evoluzione e teoria della cellula, le molte tautologie nel concetto vulgato di adattamento... Abbiamo a che fare con un libro capace di provocare (nel senso migliore!) e non solo per la franchezza della polemica e per il vigore delle argomentazioni, ma anche per la saldezza del taglio stilistico, caratterizzato fra l'altro da un linguaggio diretto e sapido, fuori da schemi scheletriti di molta letteratura scientifica. Come fuori da schemi tradizionali è la proposta culturale complessiva che, invece di offrirsi agli specialisti, raggiunge subito un vasto pubblico colto, con un suo insolito fascino letterario. (Ren‚ Thom avverte che potrebbe essere scambiato per un romanzo, ma erroneamente...).
Ma, allora, questi giudizi vogliono essere incondizionata e totale adesione alle teorie di Barbieri? Ebbene, no! Così talora non convincono la vaghezza con cui son discussi il divenire del ribosoide nell'origine della vita (e le relative implicazioni termodinamiche) oppure il conto relativamente troppo modesto attribuito alle modificazioni post-trascrizionali ed ai processi di modificazione dei prodotti proteici dopo la traduzione. I ragionamenti sulle logiche di geni egoisti appaiono poi un po' troppo sbrigative e in sintonia con una sociobiologia d'assalto, rozzamente riduzionistica e che mostra incomprensione profonda delle differenze fra livelli nei fenomeni evolutivi (molecole, cellule, organi, organismi, popolazioni). Ma la critica più grave è che nel libro convivono due opere diverse, una molto originale e piena di fascino intellettuale sulla genesi della vita, ed un'altra frettolosa e meno convincente sulla teoria evolutiva... Mi pare infatti che la teoria darwiniana sia presentata in modo un poco caricaturale, come spesso si usa fare nelle confutazioni. Così se è sacrosanta la polemica sulle incongruenze della teoria sintetica nel definire l'adattamento, valeva conto riportare le molte soluzioni proposte a tale difficoltà, non ultime le ipotesi di coevoluzione fra specie, che tendono a ridefinire i concetti di ambiente e nicchia ecologica. Un polemista delle capacità di Marcello Barbieri dovrebbe inoltre rilevare che la teoria ribotipica è costruita a livello cellulare e subcellulare, mentre la teoria darwiniana dell'adattamento viene discussa e confutata prevalentemente a livello organismico ed ecologico. E poi, cosa sono i cicli naturali? L'autore ammette che "non sono facili da visualizzare", e subito dopo afferma che "la storia della scienza è sempre stata mossa dai tentativi di andare oltre le apparenze e raggiungere la realtà dell'invisibile". Ma in che modo può procedere la scienza per indagare sulla realtà di questi cicli, di queste "invenzioni della natura", che ad una prima lettura appaiono come delle pure metafore? E come devono essere considerate affermazioni del tipo: "le forme della vita devono creare cicli naturali cooperando fra loro" ? C'è il rischio anche involontario di reintrodurre spiegazioni metafisiche o "tendenze intrinseche". Altrettanto difficile è la definizione di "convenzioni naturali". Il fatto che gli amminoacidi degli organismi siano in stragrande maggioranza di tipo sinistrorso è dovuto ad una convenzione naturale che aggiunge significato termodinamico, oppure ad una differenza termodinamica fra le forme destrorsa e sinistrorsa, che premia una delle due e quindi le conferisce una maggiore idoneità evolutiva? Barbieri con grande onestà intellettuale accetta la critica di Thom sulla scarsa attenzione pagata nel libro all'origine della forma. È un peccato peraltro che non sia stato tentato un raffronto fra la teoria semantica delle convenzioni naturali da lui proposta e tutte le acquisizioni recenti dell'embriologia sui vincoli, dello sviluppo, che a giudizio ormai di moltissimi hanno contribuito in modo decisivo ad orientare l'evoluzione. Mi chiedo poi se si sa veramente così poco sulla morfogenesi, da dover ricorrere sempre e solo al prima bistrattato ed ora abusato D'Arcy Thompson. Per curiosità si può consultare il capitolo relativo alla morfogenesi della "Biologia molecolare della cellula" di Alberts et al., recensita in questo stesso numero de "L'Indice".
In conclusione, un libro complesso, non riconducibile a giudizi troppo semplicistici, destinato a far discutere, e... comunque importante, piacevole, insolito, specialmente quando ci vuol far rivivere, novello Lucrezio, l'"infanzia del mondo".

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