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Teoria economica dell'organizzazione
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1996
Libro tecnico professionale
272 p.
9788815054869

Voce della critica


recensione di Rodano, G., L'Indice 1990, n. 7

All'inizio di uno degli articoli raccolti in questo volume troviamo la seguente affermazione: "Il tipico cliente di un ufficio pubblico si attende ritardi e scomodità nella fornitura dei servizi. Non si sorprende quando il servizio richiesto non è disponibile, o se la fornitura è carente, o ancora se viene somministrato da personale scostante e indifferente" (p. 377). Credo che non vi sia cittadino italiano (tranne forse qualche burocrate che si trova "dall'altra parte" dello sportello) che non sia pronto a sottoscrivere tale affermazione, per averla sperimentata molte volte di persona. Ma l'autore del saggio da cui la frase è tratta è C. M. Lindsay, economista dell'università di Chicago. Come dire che, in tema di malanni della burocrazia, tutto il mondo è paese. Eppure, come troviamo scritto all'inizio di un altro dei saggi della raccolta (quello di Borcherding), "una larga parte del bilancio del settore pubblico (almeno il 50%) e del prodotto nazionale (forse il 25%) viene offerta tramite burocrazie pubbliche di vario tipo" (p. 299), nonostante che in linea di principio esistano delle alternative (contratti di fornitura stipulati con imprese private, distribuzione di buoni acquisto, regolamentazione dell'attività privata) e che vi siano numerose prove che queste alternative darebbero luogo in genere a risultati migliori sotto il profilo dell'efficienza.
Perché le soluzioni offerte dalle burocrazie sono inefficienti? C'è qualche possibilità di migliorare le cose? E, in ogni caso, come mai la "fornitura" di servizi pubblici avviene così spesso nella forma della "produzione" diretta da parte delle amministrazioni pubbliche (difesa, istruzione, sanità, ecc.) o delle imprese pubbliche (ferrovie, poste, elettricità, ecc.), ignorando le alternative prima indicate? Si tratta di domande che gli economisti hanno a lungo trascurato, lasciando ai sociologi il compito di cercare delle risposte. Negli ultimi anni, però, hanno cominciato ad occuparsene e le loro ricerche hanno dato vita a quella che è nota oggi come la "nuova teoria dell'organizzazione", di cui la raccolta curata da Brosio costituisce un panorama articolato e completo.
È chiaro che il libro si raccomanda innanzitutto all'economista di professione che voglia saperne di più su questo approccio teorico; il quale, come dice Brosio nell'introduzione, "offre nuove prospettive alla comprensione della varietà di forme in cui sono organizzate, e si evolvono, le attività economiche nelle società attuali" (p. 7). Ma il libro è impostato in modo tale da essere al tempo stesso accessibile, in buona parte, anche al lettore non specializzato, nonostante la presenza sporadica di qualche brano più formalizzato e l'handicap rappresentato da una traduzione non sempre precisa e da un 'editing' non accurato, per cui, per esempio, molte formule risultano sbagliate o incomplete.
Gran parte dello sforzo e dell'attenzione degli economisti è stata a lungo dedicata allo studio di uno soltanto dei modi in cui possono essere organizzate le attività economiche, il mercato, di cui sono state analizzate le possibili forme, le caratteristiche, il funzionamento e le proprietà. In questo quadro anche all'impresa (intesa come organizzazione complessa) veniva tradizionalmente dedicata scarsa attenzione: l'impresa era vista come "una 'funzione di produzione' o una 'scatola nera tecnologica'" (p. 8) di proprietà dell'imprenditore. Era quest'ultimo il soggetto veramente rilevante: colui che opera nel mercato, dove compra input e vende prodotti. Ma sappiamo che le imprese non possono essere ridotte all'imprenditore. Esse sono strutture organizzative complesse, al cui interno la pianificazione centralizzata e il coordinamento amministrativo e gerarchico rimpiazzano il meccanismo dei prezzi. Diventa allora rilevante la seguente domanda: perché esistono le imprese? Questa domanda è stata posta e affrontata nel 1937 da Coase in un articolo giustamente famoso e considerato oggi una delle strutture portanti della teoria economica dell'organizzazione. Perciò non poteva mancare nella raccolta curata da Brosio (pp. 167 sgg.).
Il punto di partenza del ragionamento di Coase è che, in linea di principio, sarebbe concepibile un'organizzazione delle attività economiche che faccia del tutto a meno delle imprese, in cui cioè tutto il coordinamento delle decisioni individuali è affidato al mercato, al funzionamento impersonale del sistema dei prezzi. Prendendo a prestito una frase di D.H. Robertson, Coase osserva, a proposito del rapporto tra mercato e imprese, che esse possono essere concepite come "isole di potere consapevole in quest'oceano di cooperazione inconsapevole, come grumi di burro che coagulano in un secchio di panna" (p. 169). Se queste isole esistono è perché la forma organizzativa dell'impresa presenta in alcuni casi dei vantaggi rispetto alla forma organizzativa del mercato. Tali vantaggi derivano dal fatto che all'uso del meccanismo dei prezzi sono associati dei costi, solitamente trascurati dagli economisti ma non per questo meno importanti. Si tratta dei cosiddetti costi di transazione, di cui il lettore può trovare una nitida illustrazione nel testo di Ricketts (pp. 135 sgg.). La distribuzione delle forme organizzative tra impresa e mercato dipende, secondo Coase, dal peso relativo dei costi di transazione nelle due alternative: dove essi sono alti conviene l'impresa e viceversa. Come dice appunto Brosio, "la scelta tra le varie forme organizzative è dunque determinata dalla minimizzazione di questi costi" (p. 11).
Per quanto Coase si sia lamentato una volta che il suo lavoro è stato "molto citato e poco utilizzato" (cfr. p. 32), è vero in realtà che negli ultimi anni esso ha conosciuto molti sviluppi e che la stessa teoria economica dell'organizzazione deve molto a quell'approccio. In generale essa "sostiene che lo scambio esplicito di mercato non è necessariamente l'istituzione ideale per ogni tipo di transazione" (p. 435); in particolare essa suggerisce che, come la scelta dell'impresa rispetto al mercato, anche la scelta della produzione pubblica rispetto alle alternative disponibili per la fornitura di un bene o di un servizio (e, al suo interno, della soluzione della struttura burocratica rispetto a quella dell'impresa) può essere considerata una risposta motivata dalla ricerca della soluzione organizzativa più efficiente. In questo modo si ottiene il grande vantaggio di poter applicare ai problemi delle organizzazioni pubbliche concetti e metodi originariamente elaborati per studiare il settore privato. Ciò vale, per esempio, per il già citato approccio dei costi di transazione, ma anche per la teoria economica dei diritti di proprietà (cfr. al riguardo l'articolo di Alchian, pp. 87 sgg.). Lo stesso può dirsi per quanto riguarda le acquisizioni della moderna teoria dell'impresa, e per quelle della cosiddetta teoria dell'informazione.
Utilizzando tutte queste acquisizioni, un'organizzazione può essere definita, a un livello generale e astratto, "come una rete di coalizioni e di contratti che interagiscono tra loro" (p. 432). Questa definizione pone l'accento sulla compresenza all'interno delle organizzazioni di una pluralità di soggetti distribuiti secondo una scala gerarchica, ciascuno dei quali è però dotato di una propria funzione-obiettivo e di proprie informazioni, le cui interazioni sono appunto regolate da contratti. La teoria economica ha recentemente elaborato uno strumento analitico potente per analizzate situazioni di questo tipo (qualche esempio: cliente/avvocato, proprietario/manager, datore di lavoro/lavoratore, risparmiatore/agente di borsa, capo ufficio/impiegato, politico/burocrate, elettore/politico): si tratta appunto dell'approccio detto del "principale/agente" (si veda l'articolo di Harris e Raviv, pp. 111 sgg.). I temi che possono essere trattati con questo approccio sono numerosi: si va dal funzionamento delle burocrazie a quello dei parlamenti; dalle associazioni senza fini di lucro allo stato; dall'alternativa tra regole e discrezionalità a quella, già prima citata, tra fornitura e offerta pubblica. L'impostazione dominante nei teorici dell'organizzazione è senza dubbio di stampo neoclassico: la scelta di un certo tipo di organizzazione (rispetto alle alternative) risponde a criteri di efficienza. Un simile modo di procedere rischia di condurre alla conclusione che le organizzazioni esistenti sono difficilmente migliorabili, dato che sono state "selezionate", da chi aveva il potere di decidere, in modo tale da massimizzare la propria funzione-obiettivo. Così, la stessa inefficienza delle burocrazie viene spiegata, come un fatto obbligato e voluto, perché funzionale (un politologo, citato a p. 315, ha scritto che "non è tanto dell'inefficienza della burocrazia che ci lamentiamo, quanto della sua efficienza per scopi diversi da quelli che riteniamo utili"). Questo punto è chiarito molto bene nell'articolo introduttivo di Moe. Questi osserva che dire che la burocrazia esiste "perché è efficiente" è un errore se non si precisa che l'efficienza è misurata rispetto "al benessere di politici che occupano posizioni critiche" (p. 63) e che esso non coincide col benessere generale a meno di non postulare l'esistenza di una sorta di "mano invisibile", che però, già problematica nel mercato, non esiste certamente nel settore pubblico.
Questo semplice accenno suggerisce che la teoria dell'organizzazione non serve solo a giustificare l'esistente. Brosio è convinto, anzi, che essa sia ricca di suggerimenti di riforma. Condividiamo questa convinzione, anche se la scelta degli articoli che compongono il volume appare sotto questo profilo piuttosto (forse troppo) silenziosa.

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