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Teoria delle catastrofi - Vladimir I. Arnold - copertina
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1990
3 aprile 1990
152 p., ill. , Brossura
9788833905358

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recensione di Israel, G., L'Indice 1990, n. 6

La "divulgazione" della teoria delle catastrofi è cosa assai complessa, non soltanto in ragione della difficoltà matematica di questa teoria, ma anche dei molteplici aspetti sotto i quali essa si presenta e che si collegano a differenti linee di origine della teoria stessa. Questo libro introduttivo alla teoria delle catastrofi, scritto da uno dei maggiori matematici viventi, il russo V.I Arnold, riflette soltanto in parte questa molteplicità di aspetti, alla quale quindi ci riferiremo per tentare di dare un'idea della sua collocazione.
Una delle linee di origine della teoria delle catastrofi è di carattere puramente matematico ed è legata alla cosiddetta teoria delle singolarità sviluppata dapprima dal matematico statunitense H. Whitney (e poi da R. Thom e J.N. Mather) e delle cui idee principali si può trovare un'introduzione efficace nei primi tre capitoli dello stesso libro di Arnold. Essa può essere considerata come una generalizzazione dello studio classico delle funzioni ordinarie nei punti di massimo e di minimo al caso di insiemi di funzioni di più variabili. La teoria delle singolarità ebbe uno sviluppo fondamentale con i lavori del matematico francese René Thom che, per questi suoi contributi, ottenne la medaglia Fields (il massimo riconoscimento mondiale che un matematico possa ottenere). Non è qui il luogo per tentare di dare un'idea dei contenuti di questi contributi, i quali sono di elevata difficoltà matematica, e dei quali lo stesso libro di Arnold propone un'efficace esposizione. Ci limiteremo ad osservare che Arnold, con una certa ingenerosità, diminuisce il ruolo di Thom nella formazione della teoria asserendo di non sapere se "gli enunciati di Thom sulla classificazione topologica delle biforcazioni nei sistemi dinamici dipendenti da quattro parametri siano veri". In realtà questo atteggiamento di Arnold è conseguenza di un modo di vedere la teoria delle catastrofi che è di per sé orientato a tale svalutazione. D'altra parte, la teoria delle catastrofi non sarebbe diventata una teoria famosa, di cui anche il "grande pubblico" ha talora sentito parlare, se ad essa non fosse connessa un'interpretazione filosofica ed epistemologica dovuta allo stesso Thom.
L'obbiettivo di Thom era quello di utilizzare la teoria delle singolarità iniziata da Whitney per descrivere le "discontinuità" che possono manifestarsi nell'evoluzione di un sistema reale. L'evoluzione di un sistema è pensata come una successione di evoluzioni continue separate da bruschi salti che lo portano in condizioni radicalmente differenti dal punto di vista qualitativo. Quando il sistema si trova in una condizione di "regime" esso ha una struttura "stabile"; ovvero, secondo il linguaggio di Thom, è "strutturalmente stabile". La teoria ha lo scopo di rendere conto della natura di queste modificazioni "catastrofiche" e di classificarne i tipi (ed è questo che tenta di fare il teorema di Thom cui Arnold si riferisce polemicamente nella frase sopra citata). Una nozione centrale nella teoria delle catastrofi è quella di "biforcazione", la quale è uno stato in cui il sistema può scegliere fra diverse vie di evoluzione che lo conducono a stati strutturali radicalmente differenti.
Il punto di vista di Thom apriva per la teoria delle catastrofi una prospettiva tanto affascinante quanto ambigua: quella di divenire un nuovo strumento matematico d'interpretazione di una classe di processi reali caratterizzati da una discontinuità nella loro evoluzione. La storia della matematica si è sempre svolta in stretta connessione con le sue vicende come strumento d'interpretazione e di analisi della realtà. In tal senso, la matematica si è collocata, fin dall'opera di Galileo, entro un contesto interpretativo composto di una serie di livelli ben definiti: l'analisi empirica dei fatti studiati, la deduzione a partire da essi di una legge espressa in linguaggio matematico, il confronto delle previsioni fornite da tale legge con i fatti reali attraverso l'attività di sperimentazione, al fine di ottenere una verifica della legge stessa. Per quanto tale apparato conoscitivo si sia modificato e perfezionato nel corso dei secoli, esso ha conservato intatta la sua struttura fondamentale. Di qui il carattere di strumento di previsione quantitativa che i modelli matematici hanno sempre avuto nell'analisi scientifica della realtà: e previsione quantitativa vuol dire che si aspira a dire quando e come un certo evento si realizzerà, poste certe condizioni che rendono possibile il suo verificarsi. La teoria delle catastrofi si è subito manifestata come qualcosa di eterogeneo rispetto a tale approccio tradizionale: difatti, essa si proponeva di fornire una descrizione di carattere qualitativo dei fenomeni in cui ha luogo un mutamento radicale, mirando piuttosto a fornire un'immagine geometrica che non degli strumenti di descrizione quantitativa e tanto meno di previsione. Si tratta quindi di una teoria matematica meno ambiziosa di quelle tradizionali, proprio in quanto rinuncia alla previsione ma, in un altro senso, essa è una teoria più ambiziosa perché mira ad un'interpretazione dei fatti studiati, a coglierne il significato, in breve si tratta di una teoria ermeneutica. Non vi è dubbio che, nella sua evoluzione, la teoria delle catastrofi è stata influenzata dal modello scientifico predominante e cioè da quello quantitativo-predittivo, per cui sia lo stesso Thom che soprattutto altri ricercatori (come l'inglese C. Zeeman) hanno tentato di utilizzarla per fornire dei modelli matematici di alcune classi di fenomeni, cercando in taluni casi di corredarli di un apparato quantitativo. Tale tentativo fu sottoposto a critiche che mostrarono le difficoltà di procedere su tale via. Thom ha in seguito sempre più orientato il suo punto di vista verso un approccio marcatamente ermeneutico nell'ottica più della "filosofia naturale" che non della moderna scienza quantitativa, come testimonia in particolare la sua recente rilettura e rivalutazione dell'aristotelismo (in "Esquisse d'une Sémiophysique", Interéditions, Paris I988: si veda al riguardo la recente intervista sul numero di marzo 1990 di "Prometeo").
Il quadro che abbiamo così fornito ci consente di collocare agevolmente il libro di Arnold. Il suo autore è un personaggio quanto mai lontano ed estraneo non tanto all'ottica qualitativa, quanto all'approccio ermeneutico. Egli stesso dichiara di non saper vedere né apprezzare alcun altro punto di vista nell'analisi scientifica dei fatti reali se non quello modellistico tradizionale. La visione filosofica di Thom gli è talmente estranea che egli dichiara con franchezza di non comprenderla e di non riuscire a considerarla altro che come fumosità metafisiche: "Né nel 1965 né più tardi fui in grado di capire una parola dei discorsi di Thom sulle catastrofi. Una volta egli me le spiegò (in francese?) come "bla, bla, bla" [...] Tantomeno mi sento in grado di discutere altre dichiarazioni di Thom più filosofiche o poetiche, formulate in modo tale da rendere impossibile decidere se siano vere o false (come nella scienza medievale prima di Descartes o di Bacone (o dei Baconi). Fortunatamente le scoperte matematiche fondamentali del grande topologo non sono affette da alcuna filosofia irrazionale". (Osserviamo, di passaggio, che la traduzione appare qui difettosa, dovendosi piuttosto usare un termine come "inficiate" in luogo di "affette").
Da questo libro non ci si può attendere quindi alcun aiuto a penetrare nel secondo livello della teoria delle catastrofi, cioè in quello filosofico. Esso è invece di estrema utilità per introdursi nel primo livello: acquisire una prima idea sia pure necessariamente vaga del contenuto matematico della teoria, conoscere delle classi di fenomeni di cui la teoria delle catastrofi può fornire una descrizione efficace, se pure non completamente determinata sul piano quantitativo.Citiamo in particolare la trattazione della perdita di stabilità degli stati di equilibrio, le caustiche e i fronti d'onda, la distribuzione della materia nell'universo su grande scala, il problema di evitare un ostacolo, le applicazioni della geometria simplettica e altre applicazioni della nozione di singolarità. L'ultimo capitolo dal titolo" I1 misticismo della teoria delle catastrofi" ripropone con forza la visione anti-metafisica ed "anti-thomiana" di Arnold. Osserviamo di passaggio che, per desiderio dell'autore, la parola perestroika, traducibile in questo contesto con il termine "trasformazione" o "metamorfosi", è stata mantenuta in russo, per aderire all'attualità. Lo stile di Arnold è estremamente brillante, conciso ed efficace, in linea con quello che si esprime nei suoi manuali strettamente scientifici. Tale concisione ed efficacia cela talora l'insidia di far ritenere facile ciò che talora è molto più complesso dell'apparenza: ma, in un volume divulgativo come questo, scritto sempre con indiscutibile rigore, si tratta comunque di un difetto secondario. Resta il problema sopra affrontato: e cioè che attraverso questo volume il lettore non può cogliere il livello della teoria delle catastrofi che è alla base del dibattito filosofico ed epistemologico che si è sviluppato attorno ad essa negli ultimi anni. I libri di Thom non offrono viceversa una presentazione accessibile ed efficace sul piano divulgativo degli aspetti matematici e modellistici della teoria. Con la traduzione in lingua italiana di questo bel libro di Arnold, il lettore italiano che ne integri la lettura con il volume "Parabole e catastrofi" di Thom (già tradotto in italiano alcuni anni or sono) ha ormai la possibilità di introdursi in modo efficace (anche se ovviamente del tutto preliminare) in tutti gli aspetti, sia tecnici che scientifici e filosofici della teoria delle catastrofi.

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