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Teoria dei sentimenti morali
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Teoria dei sentimenti morali - Adam Smith - copertina
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Teoria dei sentimenti morali

Descrizione


Per Smith la società non nasce dall’egoismo o dall’aspettativa di guadagno, bensì dalla simpatia, dalla benevolenza e dall’amore di sé. Passioni che consentono stabilità e coesione: il limite all’attività economica coincide con la trama più ampia della condotta sociale virtuosa. Solo questa logica consente ai moventi individualistici di dispiegare i propri effetti benefici in un orizzonte di reciprocità. Una concezione della vita e della felicità che costituisce un significativo lascito dell’illuminismo scozzese alla cultura successiva. Un breviario laico di etica, presentato qui con rigore filologico e curato da uno dei massimi esperti italiani di filosofia moderna.

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Dettagli

1995
Tascabile
21 giugno 1995
660 p.
9788817170031

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Antonio
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Dall'economista Adam Smith pochi si aspetterebbero un libro di tal genere: un libro sulla natura umana ed in particolare sul concetto di simpatia e di conseguenza sull'intersoggettività. L'eredità filosofica, testimoniata anche dal confronto epistolare, è quella di Hume, filosofo del trattato sulla natura umana. Il testo è un interessante analisi dei rapporti umani finalizzato a fare emergere una propria considerazione morale: la teoria dello spettatore imparziale o immaginario che dimora nei nostri "cuori" e che ci indica la strada da seguire nelle decisioni quotidiane. Tale lettura anche se propriamente filosofica è consigliata ad un pubblico molto ampio, curioso di conoscere il pensiero morale di un autore che è troppo spesso etichettato solamente ed esclusivamente come un'economista.

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1991)
recensione di Garin, E., L'Indice 1991, n. 5

Una traduzione accurata - condotta sulla Glasgow edition delle opere di Adam Smith, della "Theory of Moral Sentiments", con un'introduzione tesa a mettere a fuoco genesi e struttura, con una esauriente discussione della letteratura critica, con indicazioni delle fonti, con indici preziosi: un avvenimento dunque, che può giustificare qualche indugio, prima che sulla versione, sull'opera.
Chi scrive queste righe, fra gli anni cinquanta e il principio degli anni sessanta, proponeva, d'accordo con l'editore Vito Laterza, una traduzione italiana della "Theory" di Smith, che accompagnasse Shaftesbury e Hume, che vennero realizzati. L'impresa avviata non fu conclusa, anche se nel '57, Giulio Preti pubblicò, sempre da Laterza, un vivace libretto su Smith, "Alle origini dell'etica contemporanea", in cui sono vivi gli echi di conversazioni e discussioni proprio sull'"attualità" di certe problematiche morali smithiane. D'altra parte Preti, fra il 1945 e il '46, aveva compiuto una traduzione, anche se non completa, della "Theory" (è conservato il ms. di pp. XV-265), con un rapido panorama dei "moralisti inglesi" del Settecento. Preti auspicava che la sua fatica valesse "a suscitare un interesse per le ricerche concrete di filosofia morale, che nella cultura del nostro paese sono state un po' troppo ignorate". Anche l'auspicio rimase inascoltato, e così il benemerito curatore d'oggi della celebre opera smithiana, Adelino Zanini, può giustamente sottolineare che solo due secoli dopo la sesta edizione della "Theory", e la morte di Smith, l'opera esce finalmente anche in italiano.
Eppure l'Italia aveva avuto molto presto, fra il 1790 e il 1791, un'accurata versione della "Wealth of Nations", uscita a Napoli in cinque volumi ("Presso Giuseppe Policarpo Merande, Negoziante di Libri, dirimpetto la Chiesa di S. Angelo-a-Nido"). Il traduttore, anzi, avvertiva di "avere aperto un commercio di lettere" con Smith, "affinché se mai egli ha delle note, o delle aggiunzioni da fare a questo suo libro me le comunichi, promettendo di darle al pubblico tradotte in italiano". Avendo poi saputo della morte dell'autore (il 17 luglio 1790), si affretta a premettere al terzo tomo un "avviso" in cui assicura i "signori associati" che "fra le carte del defunto filosofo politico nulla di nuovo si è trovato riguardo alla presente opera", ossia alla; "Wealth of Nations", ma che, comunque, pubblicherà un volume a parte, distribuito gratis, con le note del Signor di Condorcet. Importante, tuttavia, è che il traduttore presenti Smith, e la "Ricchezza delle inazioni", ricordando la "Teoria dei sentimenti morali", e le grandi lodi che ne facevano i francesi, "ordinariamente... scarsi lodatori di quel che appartiene all'Inghilterra". I francesi appunto - e l'atteggiamento francese ha notevole risonanza in Italia - connettono "Theory" e "Wealth of Nations" perfino nei traduttori, come avviene nel caso delle avventurose versioni di entrambe le opere a cura del 'citoyen' Blavet. In Italia, invece, prevalse allora l'accentuato interesse economico-politico, quello che giunse a privilegiare Hume storico ed economista fino a farne stampare pagine economiche col testo a fronte. Un discorso approfondito, tuttavia, imporrebbe qui ben altre analisi, non esclusa la considerazione delle censure religiose, che preoccupavano il traduttore della "Ricchezza delle nazioni" ("non ho voluto togliere dall'opera alcuni sentimenti, nei quali lo scrittore inglese si esprime secondo massime della sua religione; ho aggiunto non per tanto [ove il bisogno il richiedeva] brievi note, le quali possono bastare per rendere ogni Cattolico lettore prevenuto, e guardingo").
Non fu però la censura religiosa a bloccare in Italia la fortuna della "Teoria dei sentimenti morali": fu, e questo anche fuori d'Italia, il confronto con la "Ricchezza delle nazioni", che, d'altra parte, ne esprimeva in profondità alcune delle istanze fondamentali, e la integrava. Osservò giustamente nell'ormai lontano 1914 Ludovico Limentani, in un saggio che resta tuttora uno dei migliori contributi italiani all'etica della simpatia, che Smith "in Italia, anche più che altrove, ha scontato la gloria di sistematore e innovatore in economia politica con il vasto oblio nel quale è rimasta la sua opera 'filosofica'". E soggiungeva: "si contano a centinaia i seguaci dello Smith fra gli economisti: non se ne potrebbe citare uno solo sul terreno della morale". D'altra parte una più attenta conoscenza dell'opera è rilevante per due ordini di considerazioni. In primo luogo riassume, e in un certo senso conclude, tutta una linea fondamentale della riflessione psicologica e morale di oltre due secoli del pensiero moderno. In secondo luogo integra e illumina la stessa "Ricchezza della nazioni" a cui si lega in una interpretazione originale della vita pratica in tutte le sue forme. È stato giustamente affermato che una delle maggiori difficoltà che la lettura dell'opera smithiana presenta dipende dal suo essere "piuttosto una sintesi felice dei resultati accumulati dal lavoro di più generazioni, che non un sistema spiccatamente originale". Hobbes come Mandeville, Shaftesbury come Hutcheson, Butler come Hume, emergono di continuo dalle pagine della "Teoria". Zanini, curatore attento di questa traduzione, offre nelle annotazioni opportuni richiami, e nell'ampia introduzione delinea lo sfondo assai mosso dell'opera. Ma quanti echi ancora si sentono, quasi a ogni pagina, delle analisi delle passioni che avevano arricchito una letteratura vastissima dal Cinquecento in poi, e quanta presenza del dibattito etico-politico e religioso dell'Inghilterra del Settecento! Basterebbe fermarsi un momento sulla massiccia presenza degli stoici, che proprio nell'edizione del 1790 Smith riordin•, per riandare con la memoria ai famosi saggi di Dilthey dell'ultimo decennio dell'Ottocento. Dilthey non faceva il nome di Smith; guardava a Descartes e a Spinoza, ma anche a Hobbes e a Shaftesbury, magari a Hume. Eppure in Smith, a volte, sembra raccogliersi davvero, filtrata, tutti l'eredità di lunghe riflessioni su testi divenuti familiari già nelle scuole, mentre le passioni e l'immaginazione, i sentimenti e le abitudini, recitano la loro parte nel teatro della coscienza. Contrariamente al vecchio giudizio di Cousin, riportato e giustamente respinto da Zanini, di uno Smith felice nel particolare e incapace di sintesi e principi, in Smith si coglie proprio la conclusione e la sintesi di un processo. Si pensi solo al tema della simpatia, alla "apertura" sull'uniformità della natura umana, sull'essenziale identità della natura di tutti gli uomini, sul gioco dell'immaginazione che fa sì che l'idea che ci formiamo dell'altrui emozione "suscita in qualche grado la stessa emozione, proporzionalmente alla vivacità o all'opacità del concepire", mentre "proprio l'illusione dell'immaginazione" fa sì che "proviamo simpatia perfino per i morti". Nello sfondo intuiamo la secolarizzazione del tema della simpatia cosmica ("the great system of universe"), entro le linee di una teologia sottesa ("the great Director of nature"), piena di fiducia ottimistica ("the universal happiness of all rational and sensible beings"), alimentata dalla visione fisica di Newton. Tornano alla memoria le pagine finali della "History of Astronomy": non più tentativi di connettere nell'immaginazione i fenomeni celesti, ma "la più grande scoperta fatta dall'uomo, la scoperta di una immensa catena delle più importanti e sublimi verità, fra loro strettamente connesse da un fatto fondamentale della cui realtà facciamo quotidiana esperienza".
Opposto a Hobbes, opposto a ogni sistema egoistico, Smith tende a vedere nella simpatia piuttosto che "una specifica emozione" il rispecchiamento naturale di qualsiasi emozione nell'altrui coscienza, che nell'"ottimismo ond'è colorata la dottrina dello Smith, particolarmente nella prima edizione della "Teoria", lo induce a sopravalutare il contenuto eudemonistico della vita umana", sottolineando la positività della universale partecipazione degli uomini alle gioie altrui. L'osservazione di Limentani (ma non solo sua), mentre fa sentire più acuto il bisogno di un'attenta considerazione delle varianti delle edizioni della "Teoria" dal '59 al 90, ripropone anche quasi preliminare il nesso fra "Teoria" e "Ricchezza delle nazioni".
Di recente, in un testo che trae origine da un confronto sui problemi di una "Divided Knowledge" fra studiosi degli Stati Uniti e della Repubblica cinese, si poteva leggere che "la "Ricchezza delle nazioni" è sempre stata riconosciuta come un testo morale e insieme, di economia, anche se Adam Smith avviava proprio lì la decisa separazione dello studio dell'economia dal complesso della scienza morale". Giustamente Zanini apre la sua introduzione ricordando che "l'importanza dello Smith economista non può essere dissociata dal suo essere filosofo di professione". Se però è stato facile liquidare il vecchio "Adam Smith Problem", con i due Smith, sostenitore della simpatia l'uno, convertito in Francia all'egoismo l'altro per l'influenza di Helvétius, ben più grave, e importante, è ristabilire il nesso profondo fra "Teoria" e "Ricchezza delle nazioni".
A dissolvere "das Adam Smith Problem", come lo chiamarono i critici tedeschi, bastava una lettura attenta dei testi tenendo conto non solo delle "Lezioni di Glasgow", ma dell'edizione della "Teoria" del 1790, rimaneggiata sì, ma non nei temi fondamentali, mentre rimanevano sostanzialmente immutate le idee sostenute nel 1759. Il vero problema, così, diventa la comprensione esatta dell'attività pratica nel suo vario concretarsi. Non a caso Benedetto Croce nella "Filosofia della pratica" del 1909 aveva osservato, a proposito di Smith, che aveva offerto "quasi due volumi di un sistema", volendo così sottolineare, attraverso la stessa genesi storiografica, l'unità delle due forme dell'attività pratica, economia ed etica. Ritrovarle come tali, e cioè recuperare davvero nella loro articolazione teorica economia ed etica, non significa tanto rileggere la "Teoria", quanto ripensare i nessi profondi fra l'economia e l'etica di Smith, reinterpretandolo nella sua concretezza storica, ma senza lasciar cadere i suggerimenti dei "filosofi" del Novecento (da Scheler a Giulio Preti). Che è quello che ha inteso fare, e avviato, con questa traduzione e la ricca introduzione, appunto Zanini, quando ha posto in primo piano il problema della filosofia di Smith, sotto il titolo: "Filosofia e mercato".

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