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La tempesta - Emilio Tadini - copertina
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Descrizione


Semiperiferia milanese. Sembra una storia di ordinaria follia metropolitana. Un'ingiunzione di sfratto ha un esito drammatico: l'inquilino si barrica in casa e spara sulla polizia. Pur di non abbandonare l'abitazione, alla fine si uccide, ma prima dell'ultimo gesto disperato ha un lungo colloquio con un giornalista a cui racconta la sua storia. Reso folle da rovesci esistenziali il protagonista aveva trasformato la sua casa in un sacrario, dove accatastava miseri oggetti quotidiani dotati per lui di un valore simbolico, tutte tracce di desitini perduti e senza senso che lui ricostruisce come in una realtà alternativa. Gli è fedele compagno un extracomunitario nero, anche lui un relitto sperduto, un senza destino.
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Dettagli

1995
Tascabile
1 gennaio 1997
390 p., ill.
9788806138042

Valutazioni e recensioni

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Michele
Recensioni: 5/5

Colto e ricco, cialtrone e disincantato, partecipe e umano. Autoironico e molto altro. Un romanzo enorme.

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Boatto, A., L'Indice 1993, n.11
(recensione pubblicata per l'edizione del 1993)

Quando ha inizio il romanzo di Emilio Tadini, i fatti, concreti e dolorosi, sono già accaduti; la "tempesta" ha spazzato via l'isola immaginaria e reale messa su da Prospero, cancellando quell'accorato e vano tumulto che la cronaca, con la collaborazione della follia, riesce sempre, in qualunque istante del giorno e della notte, a improvvisare. La polizia è sul punto di mettere termine al ridondante assedio che ha posto alla essa di Prospero - la sua "isola" appunto -; il corpo del vecchio inquilino, che si è ucciso, viene condotto all'obitorio; il suo fedele compagno, un povero extracomunitario nero, è caduto, come era inevitabile, con grande dignità nelle mani di un gruppo troppo concitato di agenti.
Come per molti scrittori di questo lentissimo tramonto del secolo, anche per Tadini il racconto ha sempre un peso retrospettivo; non è rivolto verso la novità e l'imprevisto, l'aperta avventura dell'accadere, bensì è rovesciato su quanto è già accaduto, su quell'ordinario buco nero di inafferrabilità e di enigma che i fatti hanno lasciato con noncuranza dietro le loro spalle. Così il racconto assume la forma di una ricostruzione, si avvia lungo la strada della decifrazione e il narratore si trasforma nella figura, sempre un po' giudiziaria, del testimone, di colui che non solo ha assistito ai fatti, ma ad essi è anche sopravvissuto.
Tadini, come ha estratto il suo episodio dalla più corrente cronaca di sciagure di una grande città - la sua Milano -, così ha affidato giustamente la parte del testimone narrante a un cronista di nera. Questo cronista, sia per dovere professionale sia per un impulso di complessa interpretazione, si è introdotto nella casa assediata; ha ascoltato con crescente sbalordimento la tempestosa storia-confessione di Prospero e, sotto la sua guida, ha esplorato quel labirinto composto da una manciata miserabile di spazi che disegna la sua casa-isola. Mentre noi leggiamo, il cronista si trova di fronte a un registratore e, sotto l'attenta premura di un commissario di polizia, sta ricostruendo il racconto-testamento che gli ha fatto Prospero prima di morire, sta redigendo il suo resoconto nelle vesti di un unico testimone.
Malgrado l'incalzante commento ironico, lo scetticismo, il sarcasmo speso a piene mani, la ricostruzione dei fatti appare animata da un solo proposito: ricercare con ostinazione un senso, ciò che si esprimeva con una vecchia parola che riaffiora adesso come un relitto nell'agitazione verbale de "La tempesta": la parola "verità". Per quale ragione un vecchio signore, di fronte all'ingiunzione di sfratto, ha scelto il partito del rifiuto, della resistenza alla forza pubblica e, dopo aver ferito un vigile, si è barricato nelle sue stanze e ha preferito alla fine darsi la morte? La domanda, nella sua banalità, appare più che legittima, come è motivata la strada della ricerca. Solo che Tadini, come qualsiasi scrittore di oggi, non conosce una sola risposta, un'indiscutibile verità; ha davanti a sé un groviglio di molte, troppe strade.
Sotto ha pressione di tanti significati, ogni oggetto, pure il più consueto, a partire da una villetta posta alla periferia di Milano, si apre, si moltiplica fino all'esplosione. Se il tono costante è una sorta di frenetico e molto asintattico parlato, diviso fra l'eloquenza alta e teatrale di Prospero e il controcanto basso e riduttivo del cronista, molteplici spezzoni di cultura galleggiano in questo parlato, assieme a una grande ricchezza di metafore, in cui si sono contratti tutti i possibili significati. Limitiamoci solo all'oggetto centrale del romanzo, la casa, a cui la "tempesta" porrà metaforicamente fine e, con la casa, anche al suo abitante. Nel racconto di Prospero e nel commento del disorientato giornalista, la casa è prima di tutto "l'isola", ma diventa poi, in un gioco di spostamenti che non trova esito, un "regno", un "mondo attraversato da strade", una "macchina religiosa", un "congegno folle", il "residuo solido dei sogni", il "regno degli antipodi", una ''baracca che produce senso", e ancora di seguito in un crescendo sorprendente.
Il fatto è che se il giornalista sta cercando la verità di quanto è successo, che è poi il senso della vita e della morte violenta di Prospero, Prospero per conto suo si era già avviato a rintracciare un possibile senso alla sua esistenza e ai domestici disastri che l'hanno fatta sprofondare. C'è stata la partenza di una moglie insensata verso il miraggio dell'India e dei suoi santoni. C'è la fuga della giovane figlia, questa eroinomane, questa "povera Braccia Bucate", come la chiama con dolcezza straziante il padre, in giro per il mondo in un itinerario autodistruttivo. In questa affannosa ricerca di senso da parte di Prospero, Tadini è arrivato con molta sottigliezza a penetrare nel meccanismo segreto con cui il suo eroe tenta di spremere dai molti rovesci e naufragi subiti uno straccio di significato. È qui riportato allo scoperto un concreto retroterra fatto di feticismo, con cui vengono consacrati i semplici oggetti che accompagnano la vita: gli abiti delle donne di Prospero, le cianfrusaglie esotiche della moglie, una successione di poveri e sconvolgenti autoritratti polaroid della figlia allineati su una parete vuota.
In questo capillare feticismo, l'autore è riuscito a far passare nella parola un'estesa esperienza tratta dall'arte figurativa. Meno la sua personale esperienza -Tadini è anche un notissimo pittore figurativo - e più un'esperienza che, dall'arte povera, risale fino all'opera dadaista di Kurt Schwitters.
Non costituisce forse un 'Merz-Bau' la casa-isola edificata da Prospero? Un 'Merz-Bau' appunto che si è dilatato fino a comprendere in sé uno zoo e un'arca di Noè disastrata. In tal modo la parola monologante di Prospero coinvolge oggetti-simboli, feticci di un culto personale; li dà a vedere.
La cosa straordinaria è che un romanzo costruito sullo sproloquio teatrale di un uomo, per metà folle e per metà saggio, fondato sulla centralità di un io, seppure disperso e lacerato, riesca a rovesciarsi nel suo opposto, dandoci uno spaccato di ciò che sta al di fuori dei disastri e dei miraggi del soggetto. Si tratta dell'universo metropolitano, una Milano notturna, una città capovolta e bruciata da una congestione di "effetti speciali". La rappresentazione della notte milanese assieme alla sua fauna di prostitute, di travestiti, di barboni e di drogati, acquista la vivezza e il ritmo spezzato di una sequenza da cinema neoespressionista. Il Titanic che Prospero scorge sprofondare ogni notte in fondo a un'arteria milanese, con la sua brava orchestrina scatenata che suona il rock, resta una delle immagini più forti che la letteratura dei nostri anni ci abbia dato.
La ridondanza metaforica di tutta questa costruzione si dimostra con evidenza più che necessaria, ma non fino al punto di rifiutare, in alcune parti, il lavoro di un'attenta e auspicabile potatura. È il momento di convincersi che Tadini, arrivato con "La tempesta" al suo quinto romanzo, non è riducibile affatto alla figura sempre un po' eccentrica e pittoresca del "pittore-scrittore", ma è distintamente e intensamente sia uno scrittore che un pittore.

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Conosci l'autore

Emilio Tadini

1927, Milano

Emilio Tadini, nato a Milano nel 1927 e morto nel 2002, è stato artista, poeta e scrittore. Negli anni Cinquanta inizia la sua carriera di pittore che nel giro di un decennio lo avrebbe portato ai vertici dell'arte italiana contemporanea. Per molti anni scrive sul Corriere della Sera e fa del giornalismo culturale di alto livello, anche televisivo. Presiede l'Accademia di Brera dal 1997 al 2000. Innumerevoli le sue mostre personali in Italia e all'estero. Una delle più ricche è la grande retrospettiva di Palazzo Reale, a Milano, del 2001. Muore nel 2002 nella sua città.Tra le sue opere: L'opera (Einaudi 1980), La tempesta (Einaudi 1993), La deposizione (Einaudi 1997), La distanza (1998), Eccetera (Einaudi 2002), La lunga notte (Einaudi 2010) e Poemetti e poesie...

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