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Sveglia! - Nadine Gordimer - copertina

Descrizione


Paul Bannerman crede di avere l'assoluto controllo sulla propria vita. La sua esistenza cambia radicalmente quando gli viene diagnosticato un cancro alla tiroide... Un romanzo denso, rapido, emozionante, in cui sono toccati tutti i temi più cari alla Gordimer: le relazioni famigliari, quelle tra bianchi e neri nel Sudafrica, la povertà, l'Aids, il rapporto tra progresso economico e salvaguardia della natura.
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Dettagli

2006
13 marzo 2006
175 p., Brossura
9788807016950

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Tiziana
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A me è piaciuto molto. Era la prima volta che leggevo qualcosa di quest'autrice e l'ho trovato bello e abbastanza scorrevole, per niente surreale.Lo consiglio.

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Voce della critica

È una singolare coincidenza che i due maggiori scrittori sudafricani, J. M. Coetzee e Nadine Gordimer, offrano, nei romanzi più recenti, una riflessione sulle paure ancestrali dell'essere umano, morte, malattia, solitudine. E che ambedue costruiscano la trama a partire da un "incidente" nella vita di un uomo, qualcosa che lo costringe a una condizione di temporaneo isolamento, a riconsiderare il passato e a temere il futuro. Nel caso di Slow Man di Coetzee (Einaudi, 2006), l'imprevisto piomba nella vita di un uomo di sessant'anni sotto forma di un'auto che lo investe mentre è in bicicletta, costringendolo all'immobilità forzata a seguito dell'amputazione di una gamba. Nel caso di Sveglia!, è la malattia che colpisce un uomo ancora giovane, obbligandolo poi all'isolamento coatto, eventi che si prestano in ambedue i casi a letture metaforiche. Ma le somiglianze finiscono qui: il romanzo di Coetzee si sviluppa su un piano prevalentemente metanarrativo, mentre quello di Gordimer collega la vicenda privata con la situazione politica del Sudafrica.
A trentacinque anni Paul Bannerman, protagonista di Sveglia!, è colpito da un cancro alla tiroide e sottoposto a una terapia radioattiva che gli preclude il contatto con gli altri, per i quali è diventato pericoloso; è perciò costretto a trascorrere un periodo di isolamento, lontano dalla moglie, dal figlio di tre anni e dai colleghi di lavoro. Saranno i genitori, una coppia molto affiatata, lei avvocato, lui dirigente alla vigilia della pensione, ad accoglierlo per la quarantena nella casa di famiglia, dove Paul sarà affidato alle cure della vecchia governante, Primrose, l'unica che rifiuta di credere alla pericolo che emana da lui. E sarà soprattutto il giardino edenico, il luogo che sopra ogni altro lo accoglierà, rifugio e spazio rigenerante, in cui Paul, ecologista impegnato nella salvaguardia di un ambiente sempre più minacciato – ora, paradossalmente, anche da lui – si riconcilierà con la vita, riuscendo poco a poco a riappropriarsene, come esplicita il titolo inglese, Get a Life, riduttivamente compresso in quello italiano.
Il romanzo mette sotto osservazione, con la cura per il dettaglio e la clinica freddezza tipici di Gordimer, un nucleo familiare della borghesia bianca liberal sudafricana, facendo emergere poco a poco, sotto i comportamenti "politically correct", ipocrisie e menzogne. Protagoniste due coppie: Lindsay e Adrian, padre e madre di Paul, e Paul e la sua giovane moglie Benni. Tutti professionisti di successo impegnati in ruoli importanti nel nuovo Sudafrica, anche se a volte in maniera conflittuale, com'è il caso di Benni, copywriter in un'agenzia pubblicitaria internazionale, favorevole a sviluppo e speculazioni, al contrario di Paul che si definisce "conservazionista" (termine che rinvia – anche se con un segno capovolto – a uno dei capolavori di Gordimer scritto durante l'apartheid, The Conservationist, del 1973), "uno dei nuovi missionari che sono qui non per salvare anime ma per salvare la terra". Le donne, come spesso nei romanzi di Gordimer, appaiono maggiormente legate al ruolo pubblico e meno portate al sacrificio. Sono efficienti e fanno il loro dovere, ma sono soprattutto concentrate su se stesse. La madre di Paul, Lindsay, che non esita a prendersi il figlio in casa e che più tardi adotterà una bambina malata di Aids, ha potuto dedicarsi alla propria carriera grazie al fatto che suo marito ha rinunciato alla sua passione per l'archeologia; ha inoltre avuto una lunga relazione con un collega mentendo per anni al marito. Più vulnerabili ed esposti appaiono gli uomini, come Paul, in primo luogo, e come suo padre, che solo nel corso di un viaggio in Messico, ormai raggiunta la pensione, si concede di dedicarsi all'archeologia e di condividere questa passione con una giovane donna per la quale decide di lasciare la moglie.
Gli altri due personaggi significativi, ma che non vengono approfonditi allo stesso modo e restano pertanto solo ai margini della narrazione, sono i due colleghi ecologisti di Paul, Thapelo e Derek, esuberanti nel linguaggio infarcito di esclamazioni in varie lingue africane e negli scoppi frequenti di risa. Presenze che, mentre testimoniano la realtà del black empowerment, sono funzionali a introdurre la discussione sui molti pericoli ambientali che assediano il Sudafrica, desertificazione, reattori nucleari, autostrade ecc., discussioni in cui risulta evidente la critica di Gordimer a un certo progressismo imperante nella politica sudafricana odierna, che non mette tali problemi ai primi posti della sua agenda.
Quando il pericolo cessa e Paul torna a casa, non è facile riannodare i rapporti consueti. Durante il periodo di isolamento, Paul è diventato consapevole non solo della propria vulnerabilità e dei suoi limiti umani, ma anche degli interessi e delle aspettative contrastanti che lui e sua moglie hanno nei confronti del paese; tutto appare più difficile da gestire. Anche la separazione tra i suoi genitori, per quanto mistificata e tenuta nascosta, ricade in qualche modo su di lui. La famiglia, con le sue difficoltà, diventa così microcosmo del paese, assediato da problemi e interessi contrastanti che appaiono di difficile risoluzione.
Il romanzo si sviluppa attraverso una serie di ribaltamenti e parallelismi tra pubblico e privato, di motivi che rimbalzano dal piano personale a quello politico: l'ecologista Paul, proprio mentre è impegnato a fermare l'istallazione di un reattore nucleare, si trova lui stesso a essere radioattivo e a costituire una minaccia per l'ambiente. Sua madre, l'avvocato responsabile, quando è ormai troppo tardi si interroga sul proprio tradimento e, sull'onda emotiva della Commissione per la verità e la riconciliazione, pensa a un risarcimento per il marito tradito, alla possibilità di "purificare e sanare", secondo la "panacea di moda per la confessione di crimini politici", ma sa bene che non esiste risarcimento. Una gita in un luogo selvaggio, dove vive la maestosa aquila nera africana, e la determinazione di Paul, che vuole trovare l'aquila a ogni costo, serve da metafora della cinica legge della sopravvivenza del più forte. Ma il romanzo non si chiude su una visione pessimistica. Perché mentre "la distruzione minaccia molti stati di esistenza", nasce il secondo figlio di Paul, "emerso ad affrontare il mondo con tutta la dotazione, o le armi necessarie", anche se Gordimer si affretta ad affermare che "la licenza definitiva di distruzione non va mai ammessa, né concessa. È questo il credo". Un finale che volontaristicamente guarda al futuro dopo averci dato una visione cupa dello stato delle cose, sia sul piano umano che su quello ecologico. La frasi citate vogliono inoltre dare un esempio di un linguaggio e di una forma a dir poco ineleganti che la traduzione non è riuscita a migliorare.
Leggere i romanzi di Gordimer è utile, come sempre, a farci capire qualcosa di quel magma che oggi ribolle in Sudafrica. Come di consueto, i temi privati si intrecciano strettamente con quelli politici (malattia, crisi coniugali, paura nucleare, bambini abbandonati), il tutto però in un romanzo che appare per certi versi affrettato, quasi tirato via, dalla scrittura ellittica e a volte disordinata. Che ogni tanto si produce in affermazioni che, almeno in italiano, risultano quasi inintelligibili: "Il disastro è un'esperienza privata (…) tanto quanto l'amore", "Le generazioni non si possono aiutare a vicenda, nel torto esistenziale", e ancora, "Cos'altro è la sopravvivenza se non la fine della povertà". Viene da chiedersi cosa spinga una scrittrice come Nadine Gordimer, che ha un posto di tutto rispetto nell'olimpo letterario sancito dal Nobel nel 1991, e capace di offrire pagine di grande scrittura (come ad esempio quelle sull'aquila nera in questo romanzo), a essere presente sul mercato editoriale con opere come questa se non il desiderio di continuare a mantenere un ruolo critico nella coscienza del paese. Desiderio che, per quanto legittimo, non giustifica la pubblicazione di opere che negli ultimi anni appaiono sempre più stanche e affrettate.
  Paola Splendore

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Conosci l'autore

Nadine Gordimer

1923, Springs-Johannesburg (Sudafrica)

Nadine Gordimer è una scrittrice sudafricana, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Si legge nella motivazione della giuria, «esser stata di enorme beneficio all'umanità grazie alla sua scrittura magnifica». Nel gennaio 2007 le viene assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura e ricopre la carica di Goodwill Ambassador of the United Nations. Figlia di un ebreo russo e di una ebrea inglese, ha dedicato la propria vita tanto alla letteratura quanto alla lotta contro l'apartheid. Con la sua opera, spesso bandita in patria, e con un'ininterrotta attività culturale, sociale e politica, ha rappresentato una vigile presenza critica all'interno del suo sofferente paese.  Tra i suoi libri: L'aggancio, Un'arma...

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