La suora giovane

Ogni racconto che leggo di Arpino finisce con il confermarmi che è stato un grande narratore, cui non so cosa sia mancato per arrivare ad essere ricordato come uno dei più grandi del novecento italiano. Forse un poco di unitarietà; forse una visione complessiva dove ogni storia narrata trovasse un posto. Resta il fatto che anche questo "La suora giovane", che è un racconto appena più lungo del solito, è scritto molto bene e, soprattutto, è la storia di una suora, in realtà una novizia che ancora non ha preso i voti, ha saputo tenersi distante dallo sprofondare nelle tenebre del peccato, come invece i precedenti illustri di Manzoni o Piovene. E' in realtà la storia di una ragazza di campagna e di un uomo di mezz'età che non sa cosa volere, una sorta di Emilio Brentani alle prese con la senilità. Sono le diverse velocità di pensiero e desiderio dei due che creano la storia, impossibile sin dall' inizio. Ma la storia è anche il racconto di una Torino gelata e moderna e di una campagna remota, dove il protagonista finisce con l'incontrare i genitori della suora, in uno scorcio tutt' altro che bucolico, assai simile all' ambiente della "Malora" di Fenoglio. E' un racconto in senso proprio; la storia resta appesa ad un possibile suo divenire che in realtà, è chiaro al lettore, non ci sarà. Se vogliamo, l'ombra del peccato è molto più annidata nella cronica irresolutezza del protagonista che non nelle reazioni della giovane suora che sono immediate e trasparenti. E' un racconto sulla e della miseria, e non era facile trattenerlo in questa sua dimensione.