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Sul sonno e sul sognare. L'interpretazione allegorica dei sogni - Girolamo Cardano - copertina
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Sul sonno e sul sognare. L'interpretazione allegorica dei sogni
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Sul sonno e sul sognare. L'interpretazione allegorica dei sogni - Girolamo Cardano - copertina

Descrizione


"Il libro di Cardano schiude, per noi moderni che lo leggiamo affascinati e che tanto spesso troviamo immagini che hanno incantato o turbato qualcuna delle nostri notti, orizzonti che sarebbe riduttivo limitare a una preistoria della psicoanalisi". (Franco Cardini)
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Dettagli

1996
Tascabile
12 settembre 1996
236 p.
9788831764872

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1989)

recensione di Caprettini, G.P., L'Indice 1990, n. 2

La verità dipende da una tecnica? Almeno per i sogni, secondo Girolamo Cardano (1501-76), parrebbe di si. Si tratta di creare le condizioni per avere sogni veritieri, allontanando "l'incontinenza e il disordine erotico, i tormenti, le alterazioni dell'animo, i fastidi e specialmente il vino" (p. 50). soltanto Cosi potremo accedere all'insegnamento dei sogni, cioè etimologicamente alla loro significazione. Ma le "cose nascoste" che i sogni ci indicano sono di due tipi: quelle esposte "in maniera diretta", per cui i sogni fungono semplicemente da meccanismi indicatori, e quelle presentate nella maniera "onirica" vera e propria, in ragione della quale possiamo a tutti gli effetti parlare di sogni o visioni oniriche: le cose sognate significano qualcosa di differente da quello che ci fanno vedere.
Nasce cosi l'interpretazione come una tecnica che si propone di ridurre la arbitrarietà del linguaggio onirico col dar vita a un dizionario di corrispondenze fra le "cose mostrate dai sogni" e quelle del mondo della veglia. Vedremo allora che "i monti indicano uomini potenti, affari difficili, ma anche una vita infelice, benché tranquilla" (p. 95), che il legno "rappresenta la materia delle azioni e degli affari, tanto quanto è un materiale usato dagli artigiani" (p. 108), che "la città significa abitazione, affari e vita" (p. 191). Accanto al lessico avremo anche un repertorio dei possibili programmi narrativi, secondo i quali si può trovare una corrispondenza tra racconto onirico e vita del sognatore: "vivere la vita in paradiso significa essere senza moglie, perché chi è vedovo e celibe crede di essere beato, ma a torto" (p. 191); "il cervo rappresenta un uomo instabile e timido, e un uomo che ha una moglie adultera... Chi crede di essere un cervo ed è celibe, vivrà a lungo in ansia e timore" (p. 122). Immaginate dunque la tragedia di chi sognerà d'essere un cervo in paradiso.
I meccanismi di significazione indicati da Cardano rispondono a una logica retorica di vario genere. Ecco un esempio del tipo metaforico: "la febbre significa guadagni ingiusti poiché brucia l'uomo. Significa anche bollori dell'animo..." (p. 194); e uno del tipo metonimico: "le labbra significano parole, poiché da esse vengono proferite" (p. 63).
Tutto ciò che abbiamo mostrato finora non faccia però pensare che Cardano creda a un sistema di corrispondenze biunivoche, come se l'indeterminazione dei simboli non esistesse e quindi come se il compito di un interprete fosse quello di un apparato decifratore da controspionaggio. Per lo scienziato-mago, professore di medicina, astrologo e fisico, autore con l'"Ars magna" di un capitolo fondamentale nella storia dell'algebra, estensore per di più del "De subtilitate rerum", è impossibile pensare a qualsiasi forma di determinismo che non sia quella apparente che potrebbe ricavare un lettore disattento alle prese col volume di cui stiamo parlando, traduzione del libro primo dei "Synesiorum somniorum omnes generis insomnia explicantes libri III". Cardano invita invece alla cautela, perché "tutti i sogni provengono da una conoscenza imperfetta, dalla trasposizione e dalla commistione delle cose viste" (p. 31), tanto che si può parlare non di verità assoluta ma di "grado di verità", sia per le difficoltà con cui il materiale della vita emerge nel sogno, sia perché "il medesimo sogno non ha lo stesso significato per tutti in base alle cose specifiche che appaiono in esso" (p. 45). Si tratta dunque non soltanto di conoscere il sogno, ma soprattutto di conoscere il sognatore.
Possiamo dunque ricavare dalla lettura di questo volume importanti suggestioni, oltre a quelle ben motivate che i curatori espongono nell'introduzione. Ad esempio: riusciamo davvero a sognare qualcosa che non abbiamo mai visto o di cui non abbiamo sentito parlare, di cui insomma non "sappiamo" nulla? È valido o non è valido nel campo onirico l'assunto secondo il quale nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu?
Il problema forse non sta in ciò che sogniamo, ma in ciò che riusciamo a dirne: il che, come si sa, è potentemente controllato dall'esperienza e irrigidito dalle varie convenzioni. Che cosa davvero ci sia nel sogno forse lo sappiamo soltanto mentre sogniamo. Anche se allora non ne sappiamo il significato, perché il saperne qualcosa comporterebbe un punto di vista che non sia quello del sogno, ma una mente esterna, un'osservatività che non si può dare.
Cardano segue e rafforza la tradizione secondo la quale il sogno è ciò che diciamo d'aver sognato: la referenza degli oggetti onirici - un cavallo, un ponte, un bel palazzo, un pozzo, un pesce, un serpente - è fondata nella veglia non nel sogno; è nella veglia che il sogno assume una denotazione linguistica: il cavallo significa... il ponte significa... Significare vuol dire riportare nella veglia, trasferire dal sogno alla vita. Dunque le cose non significano nel sogno ma fuori del sogno, nel discorso che ne parla. Si sogna perché nella veglia... Il sogno, allora, dominio di ciò che sfugge alla coscienza diurna e vigile, ovvero luogo memoriale dove tutto è disperso e riscritto perché possa nelle ore del dì essere ritrovato, ovvero ancora sede di quella attività religiosa (nel senso etimologico del termine) in cui pazientemente vengono rimesse insieme le parti del giorno? Mancia, lo sappiamo, nel suo libro "Il sogno come religione della mente" (Laterza 1987) aveva argomentato in favore di quest'ultima tesi. Tesi che si potrebbe illustrare con l'immagine di Penelope che pazientemente, di notte, disfa ciò che di giorno aveva cucito, ma così facendo dimostra che la saggezza e l'astuzia sono in fondo cose da notte, sì, ma proprie di chi resta sveglio.
Per concludere, dobbiamo salutare con piacere il lavoro di Mancia e Grieco, limitandoci a segnalare alcune rare modernizzazioni nella traduzione (ad esempio il termine "finalizzate" di p. 141) e un refuso che la dice lunga sui sogni ad occhi aperti: a p. 15, per due volte, si legge "mancia" invece di "manca": "se qualcosa mancia all'immagine-idolo confrontata con l'originale' della veglia, mancia per difetto e non per 'deformazione"': errore naturalmente da valutare con tutta la sorridente indulgenza del caso.

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