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Studi di storia dell'editoria italiana
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1989
1 gennaio 1989
180 p.
9788855520904

Voce della critica

TORTORELLI, GIANFRANCO, Studi di storia dell'editoria italiana

TAVONI, MARIA GIOIA (A CURA DI), I mestieri del libro

INFELISE, MARIO, L'editoria veneziana nel '700
recensione di Palazzolo, M.I., L'Indice 1990, n. 5

Si tratta di testi molto diversi tra loro; il primo è una raccolta di saggi sulle varie figure professionali che operano nella bottega tipografico-libraria in epoca preindustriale; il secondo è un'ampia trattazione sullo sviluppo dell'editoria a Venezia nel '700 nei suoi rapporti con il mercato europeo; infine il terzo traccia il percorso culturale di alcuni editori tra Otto e Novecento in Italia. Un ventaglio di proposte molto ampio, come si vede, che abbraccia lo sviluppo dell'arte tipografica dai suoi esordi alla nascita dell'impresa editoriale moderna, e che dimostra quanto sia ancora ricco il terreno da dissodare e quanto numerose, e tutte credibili, le modalità di approccio.
Proprio su queste modalità è il caso di soffermarsi. Il panorama degli studi sull'editoria in Italia è radicalmente mutato. Patrimonio esclusivo di eruditi e bibliofili, che puntavano alla pur meritoria ricostruzione di "Annali" di singoli stampatori o alla faticosa e puntuale descrizione di rarità bibliografiche (e qui è d'obbligo il riferimento a Marino Parenti), in questo ultimo decennio la storia della stampa, anche sulla base di sollecitazioni ed esperienze straniere, ha potuto fruire di differenti apporti disciplinari che hanno contribuito ad arricchirne tematiche e punti di vista, facendone il terreno d'incontro di suggestioni e ricerche di storici, italianisti, economisti, secondo una fruttuosa linea di ricerca già additata in queste pagine da Eugenio Garin.
A distanza di dieci anni dalla pubblicazione del volume di Marino Berengo, "Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione", che costituisce un punto di riferimento insostituibile per tutti coloro che fanno ricerca in questo settore, ci troviamo di fronte oggi a un patrimonio di lavori corposo, all'interno del quale è possibile individuare percorsi e consonanze metodologiche.
A ben vedere esiste una netta differenza tra gli studi sull'arte della stampa nell'epoca dell'ancien regime e gli studi che ne indagano lo sviluppo in epoca industriale. La vecchia cesura tra storia della tecnica e storia delle idee non taglia trasversalmente le ricerche di questo settore, ma in genere si riconnette a quella ben più corposa e storicamente rilevante tra età preindustriale e età industriale. Se fino al Settecento predomina l'interesse per la bottega artigiana, di cui si indagano attentamente organizzazione del lavoro, figure degli addetti e ordinamenti corporativi, per ciò che riguarda l'Otto e Novecento - in Italia, naturalmente - l'interesse si sposta dal luogo della produzione al suo prodotto e hanno netta prevalenza le ricerche che, nel ricostruire cataloghi e progetti editoriali, delineano preferenze ideologiche e strategie di intervento culturale.
Da dove viene questa dicotomia? Ha essa ragion d'essere nell'oggetto di ricerca che richiede volta a volta differenti strumentazioni o fonda le sue radici, come tante volte è stato sottolineato, nella difficoltà a mettere le mani sugli archivi d'impresa, spesso introvabili o - nel caso di aziende ancora in vita - di difficile consultazione per la gelosia degli editori? Questi interrogativi sono ben presenti alla gran parte degli storici dell'editoria di oggi. Già Maria Gioia Tavoni, nella "Premessa" al numero monografico di "Quaderni storici", titolato significativamente "I mestieri del libro", sottolinea la specificità di questo "mestiere" e l'ampiezza delle problematiche ad esso connesse. "È infatti il mestiere [...] che in evoluzione continua nei suoi sistemi tecnici o scientifici [...] si cerca la strada della sua autonomia. Un mestiere che riduce ad oggetto, da distribuire e diffondere sul mercato, quel che prima era un esemplare autografo, testimonianza unica delle esigenze del suo autore. Attraverso il 'mestiere' diventa, appunto, libro, strumento cioè di cultura, di propaganda, di informazione, di alfabetizzazione, di gioco e - proprio in quanto commercializzato - merce e fonte di guadagno e di profitti".
Ai diversi mestieri presenti nella bottega artigiana sono dedicati nel volume singoli saggi; dalla figura del compositore, al confine tra lavoro manuale e intellettuale (Baldacchini), a quella del proto o capo-stampa (Conor Fahy), alla figura professionale del mercante di libri che, ancora nel Settecento italiano, ha una sua identità specifica, diversa da quella del libraio-tipografo, con suoi cataloghi di offerta libraria e sue scelte culturali (Tavoni). L'ambito della ricerca è programmaticamente europeo, e questo non solo e non tanto perché l'organizzazione del lavoro nella stamperia d'ancien regime è simile, a Venezia come a Rouen o nell'Olanda del secolo d'oro, ma soprattutto perché - ed è questa l'indicazione metodologica più interessante, condivisa del resto anche da Infelise - il mercato librario in età moderna ha sempre dimensioni non nazionali, ma europee.
Assumere l'ottica del mercato consente di superare quella dicotomia cui si accennava, poiché mette in luce il nesso tra strategie di vendita e scelte culturali. Non è un caso che a questo riguardo FranÞoise Waquet introduca il problema della pubblicazione del libro erudito tra Sei e Settecento; anche allora l'editoria di cultura non trovava finanziamenti, poiché si basava su un mercato ristretto, d'élite, ed ai poveri letterati non restava che finanziarsi da sé, o creare delle società stabili (come la Società Palatina che curò la pubblicazione dei "Rerum Italicarum scriptores"), che funzionassero come una sorta di mecenate collettivo.
Da questo punto di vista, il bel libro di Mario Infelise offre più di uno spunto di riflessione. Ciò che consente agli stampatori veneziani di superare la grave crisi del Seicento è l'individuazione di un nuovo mercato; non più il mercato tedesco o settentrionale, a causa della diffusione della Riforma protestante, ma il mercato delle potenze mediterranee dove il livello tecnologico e organizzativo delle stamperie è certamente molto più arretrato di quello veneto. A questo vastissimo mercato, in cui troviamo Spagna e Portogallo, ma anche Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie, le imprese della Serenissima offrono in prevalenza opere di argomento religioso, libri liturgici, vite di Santi. Assente qualsiasi preoccupazione di carattere ideologico e culturale, il tipografo veneziano stampa quello che, a suo avviso, vende di più. Così, mentre la tiratura dei libri è tra le più alte (intorno alle 1500 copie, mentre nello stesso periodo a Roma lo stampatore dell'Arcadia Antonio De Rossi tira soltanto 600 copie dei suoi volumi accademici), compaiono sulla scena editoriale personaggi nuovi, desiderosi di impiegare capitali in un'impresa che si presenta, almeno nella metà del Settecento, fonte di profitti sicuri.
Sono questi "capitalisti" estranei all'arte, in genere patrizi, ma anche mercanti di altri beni, a mutare radicalmente il vecchio assetto della bottega artigiana, prefigurando l'organizzazione dell'impresa editoriale moderna. Nel contempo, l'impiego di capitali e lo sviluppo delle vendite consentono la nascita di una nuova figura di intellettuale professionista che; mettendo la propria penna al servizio di un progetto editoriale, richiede retribuzione e tutela, aprendo la strada a quella lunga controversia che è la rivendicazione del diritto d'autore nell'Ottocento. Capitalista e intellettuale professionista sono le figure più dinamiche nel panorama ottocentesco, che segna, con ritardo rispetto alle altre nazioni europee, in particolare Francia e Inghilterra, la nascita dell'impresa editoriale. Ma, come si accennava all'inizio, sono ancora insufficienti le ricerche che studino, col mutare del quadro giuridico istituzionale, il passaggio dalla bottega all'impresa e che mettano in luce sia le modificazioni prodotte dal rinnovamento tecnologico all'interno dell'azienda (nascita di nuove professionalità e nuove gerarchie) sia le resistenze all'innovazione di settori dell'imprenditoria locale, spesso preoccupati di perdere quel piccolo mercato protetto su cui fondano sopravvivenza e privilegi.
Accenni a questa problematica emergono nel volume di Tortorelli, che raccoglie alcuni saggi sull'editoria tra Otto e Novecento. Mentre più tradizionale appare l'approccio alla figura di Gaspero Barbèra, esponente della linea self-helpista presente nell'imprenditoria italiana o la puntuale ricostruzione dell'attività del "socialista" Nerbini, più interessanti appaiono i cenni sulle imprese editoriali in Emilia-Romagna. In una realtà come quella emiliana, estranea per i lunghi decenni della dominazione pontificia ai grandi processi di innovazione messi in moto da Pomba o Le Monnier, iniziative nuove si fanno strada a fatica; così, se rimane ancora forte il legame con la tradizione artigianale al suo più alto livello, che ha in Bodoni il suo idolo e in Paolo Galeati il più tenace assertore, solo nella seconda metà.dell'Ottocento si sviluppa la Zanichelli, che trova nel mercato per la scuola uno dei più solidi punti di forza. Quanto sia fertile del resto la prospettiva dell'analisi di una realtà locale, dove più chiaramente emergono differenti strategie per la conquista del pubblico, lo ha dimostrato un recente convegno organizzato dall'Istituto per la storia di Bologna su "Editoria e Università a Bologna tra Otto e Novecento".
Un'ultima notazione. In uno dei saggi del suo volume Tortorelli, attraverso l'analisi di un'inchiesta del 1906 sui libri più letti dagli italiani, pone il problema della lettura. E in effetti, come del resto è stato messo in luce anche dalla Tavoni nella sua "Premessa" a "I mestieri", ciò che ancora manca, per il Cinque, Sette o Novecento, è un'attenzione in Italia alla figura del lettore, attraverso la quale ha senso e compimento l'intero processo della produzione editoriale.

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