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Storia sociale dei cani - Susan M. McHugh - copertina
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Descrizione


A caccia con i re, in trincea, nel boudoir, sul tavolo di un laboratorio: da millenni, i cani - levrieri, pastori tedeschi, barboncini o umili bastardi -accompagnano l'uomo nelle sue imprese quotidiane. E da millenni questi muti compagni vedono proiettate sul proprio corpo categorie fin troppo umane, come razza e nobiltà, coraggio e codardia, sacrificio ed egoismo. Attraverso una ricca selezione di esempi tratti dalla letteratura, dalla storia dell'arte, dal cinema e dalla pubblicità, "Storia sociale dei cani" ripercorre l'avventura condivisa di uomo e cane, per mostrare come, fatalmente, la sovrapposizione con modelli culturali umani sia sempre finalizzata all'esclusione e alla denigrazione del1'"altro", del diverso, dalla donna-cagna al bastardo-meticcio. Susan McHugh affronta un tema complesso, dalle mille sfaccettature, e per farlo adotta una prospettiva che non è mai puramente storica né descrittiva ma ci fa capire che, nonostante i tentativi umani di sfruttarlo per perpetuare meccanismi di oppressione sociale, il cane conserva sempre un potenziale eversivo capace di renderlo un formidabile strumento di critica e trasformazione.
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Dettagli

2008
219 p., ill. , Brossura
9788833919409

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Voce della critica

Ricorrendo alla letteratura come strumento di indagine antropologica ed etologica, la studiosa americana Susan McHugh in Storia sociale dei cani (ma il titolo originale del libro uscito nel 2004 è un più icastico Dogs) ha costruito un percorso sul cane come prodotto dell'immaginario umano. A dargli avvio è la constatazione che il cane non solo accompagna la storia umana, ma ne è in qualche modo il coautore. Idea che da qualche anno ha trovato piena accoglienza scientifica (si vedano Compagni di specie di Donna Haraway o i libri dello zooantropologo Roberto Marchesini), ma da non applicare riduttivamente soltanto all'ancestrale relazione tra le due specie nella caccia e nella pastorizia. Quanto la sostanzia è semmai la certezza che pensare al cane – restituito al suo ruolo di soggetto – sia uno dei modi attraverso cui l'umano ha acquisito coscienza di sé, delineando i tratti della propria identità, come dimostrano le sedimentazioni ravvisabili nelle fonti scelte da McHugh.
Ebbene, che cosa mette in relazione testimonianze lontane nel tempo e nello spazio? Pur nella sua natura ancipite (nello stesso tempo aiuto e minaccia), il cane non si sottrae al ruolo di "subalterno", destinato dalla biologia a servire zelantemente la specie umana. Se è "entrato nella civiltà", sottraendosi alla stretta del lupo, è perché l'essere umano ha deciso di educarlo, trasformandolo. A poco serve ribadire che la discendenza del cane dal lupo non sia così certa come ritiene gran parte dell'etologia contemporanea, che delega all'esemplare umano la leadership nella famiglia-branco. Il cane è un ex lupo redento, il "parassita" della nostra specie, costantemente insidiato dagli istinti più sconvenienti e rivoltanti, dalla volubilità alla coprofagia, dall'inaffidabilità alla sessualità esibita.
Merito di McHugh è stato quello di aver spiegato come questa immagine si sia progressivamente saldata alla metafora che si serve del cane per indicare gli elementi deboli della società, dalle donne ai "reietti". È qui che si colloca la spina dorsale della "relazione interspecifica". Il cane è il modo attraverso cui si rappresenta chi deve essere condotto alla civiltà e per questo va tenuto sotto osservazione, seppure a debita distanza dagli equilibrati spazi della ratio umana. Operando in questa dimensione, dalla metà dell'Ottocento, avviene però un capovolgimento del senso della metafora. È stato Baudelaire a ribadire per primo quanto il cane randagio sia assimilabile a quell'ampia frangia di diseredati in cui spiccano i poeti. Qui ha origine lo stilema del bastardo espressione di vitalismo, di gioia carnevalesca, di insubordinazione alle regole (tra i molti esempi, si pensi a Vita da cani, il film di Chaplin in cui il vagabondo fa coppia con la cagnolina Scraps). Un modello "alternativo", che, non a caso, entra in collisione con l'affettata e parallela immagine del cane con pedigree, quintessenza del potere borghese e della sua capacità di controllo del corpo. È ancora oggi così? Forse no. Ai "cani di domani" concederemo altre prospettive, nella convinzione che "non una ma due specie siano diventate contemporaneamente compagne". È giunta l'ora dell'"emancipazione canina"?
Andrea Giardina

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