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Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri
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1997
Tascabile
30 settembre 1997
286 p.
9788879893213

Voce della critica


recensione di Gambetta, D., L'Indice 1993, n. 8
(recensione pubblicata per l'edizione del 1993)

Tra i "libri di mafia" si mimetizzano una varietà di generi - resoconti giornalistici, invettive politiche, libri fotografici, autobiografie, storie di protagonisti, materiali giudiziari - , il più esile dei quali è costituito da ricerche serie e utili a comprendere il fenomeno. Tra queste, "Storia della mafia" di Salvatore Lupo merita senz'altro un posto di rilievo.
Sulla base di una selezione di circostanze storiche significative, e in accesa polemica con altre interpretazioni, Lupo ci illumina anzitutto su ciò che la mafia non è: un'entità sopravvissuta alla tarda abolizione dei rapporti feudali in Sicilia, un prodotto del sottosviluppo, il frutto specifico della cultura siciliana, un esclusivo strumento anticontadino al servizio degli agrari siciliani. Inoltre, ribadisce che la distinzione ricorrente tra mafia vecchia e mafia nuova non ha fondamento, così come non ne ha l'idea che la mafia sarebbe emigrata dalla campagna alla città nel secondo dopoguerra. Sebbene studiosi sia ottocenteschi sia contemporanei ne avessero già rilevata l'infondatezza, Lupo contribuisce alla demolizione di questi stereotipi, illustrando la loro curiosa tenacità lungo un arco di tempo secolare. Storia della mafia e storia delle sue interpretazioni si mescolano inestricabilmente in questo libro, talora utilmente talora appesantendone l'argomentazione.
Se nella parte critica l'autore ha vita relativamente facile, nella parte propositiva cozza invece contro un ostacolo ineludibile, vale a dire dimostrare l'esistenza di un oggetto di studio coerentemente identificabile e continuativo nel tempo, un oggetto di cui abbia senso scrivere la storia. Ciò non è affatto scontato: la mafia non è un'istituzione manifesta, dotata di statuti scritti e insegne riconoscibili; i membri ne negano pervicacemente l'esistenza; la sua natura non si lascia ricondurre facilmente a fenomeni familiari; gli scopi ad essa attribuiti si moltiplicano. Così, poiché più fitto è il mistero più proliferano le congetture, la turbolenza concettuale ed empirica intorno al fenomeno è giunta a livelli tali da indurre diversi studiosi a sospettare che la mafia non esistesse come fenomeno distinto dai suoi contesti, che fosse un modo di comportarsi, di fare affari in questo o quel mercato, che si trattasse di un metodo non di un'organizzazione, un insieme di reti di relazioni non una setta dai confini nettamente tracciati. Lo stesso Lupo in alcuni saggi precedenti, qui in parte ripresi, ha lasciato margini di ambiguità in proposito. Ma oggi, forte delle grandi indagini siciliane dell'ultimo quindicennio e con una carica polemica che pare voler compensare i dubbi del passato, non esita a dichiarare che ci troviamo di fronte un'organizzazione dotata di caratteristiche, e dunque di una storia, sue proprie.
Munito di questa aspettativa parte alla ricerca della mafia esplorando una messe di fonti molto interessante. Trova tracce già nell'Ottocento dell'esistenza di un'organizzazione che controllava la delinquenza a Palermo, trova tracce di una commissione che ne regolava gli affari, trova un patto antirapimenti tra mafiosi e possidenti. Trova persino parecchi preti coinvolti nei primi processi di mafia, ma li assolve (senza prove), e senza dirci nulla purtroppo sui rapporti tra mafia e Chiesa, che sono tanto cruciali quanto poco esplorati. Ci informa poi che il fenomeno data almeno dall'unità d'Italia. Anzi, con mossa inconsueta per uno storico, rifiuta di porsi la questione delle origini, asserendo l'inutilità di risalire più indietro nel tempo di quando alla "cosa" si dà finalmente, nel 1863, un nome. Il nome è l'origine. Questo argomento potrebbe avere un fondamento economico preciso - la mafia può infatti essere intesa come un marchio -, ma Lupo non lo coglie e la decisione di troncare a quella data pare dettata più da arbitraria convenienza che da un ragionamento convincente. Inoltre, al di là del fatto che non si troveranno mai n‚ la data n‚ il luogo di nascita, è possibile cercare le origini della mafia in quei drastici mutamenti dei rapporti sociali - quali l'espansione rapidissima della proprietà privata - che sconvolgono la Sicilia dopo il 1812, senza perciò rischiare, come invece sostiene Lupo, di regredire all'infinito nel tempo. Pur importanti, le cesure nominali non possono obliterare quelle sostanziali. Ci si aspetterebbe anche qualche indicazione circa gli scopi e la natura dell'organizzazione che permetta di setacciare le fonti nel modo più trasparente possibile. Ma Lupo esita ad affrontare le questioni teoriche esplicitamente e preferisce gettarsi a capofitto nelle fonti sperando che siano i fatti a parlare. E qui nasce un problema. Da una parte egli segnala ripetutamente l'erraticità delle fonti per ciò che riguarda l'accusa di essere mafiosi - "dopo il '65 i funzionari della Destra Storica prendono a chiamare 'maffiosi' i briganti e i renitenti alla leva, gli oppositori dell'ordine sociale, i notai a capo dei partiti municipali e i piccoli delinquenti". Dall'altra, privo di un chiaro metro alternativo per accertare la "mafiosità" degli individui, è costretto ad affidarsi alle fonti di cui dubita. Questo genera una certa confusione: quando riporta accanto a un nome l'aggettivo mafioso non è chiaro se lo usi perché pensa che il soggetto sia mafioso, perché è la fonte ad usarlo, oppure infine se lo usa perché è riportato dalla fonte e lui è d'accordo con essa. Non ci illumina mai circa i criteri con i quali discrimina le informazioni attendibili dalle illazioni. Questa difficoltà si riflette soprattutto sulla metà del volume dedicata all'Ottocento dove il lettore, in balia delle fonti, avanza a fatica in una prosa a tratti molto densa. Mentre la parte dedicata al dopoguerra, che beneficia di una maggiore affidabilità delle fonti giudiziarie e di una maggior trasparenza concettuale dovuta anche al lavoro teorico di altri studiosi, migliora decisamente e qui l'autore offre il contributo più significativo. L'illusione che aggirare il problema teorico equivalga a risolverlo affligge l'opera in altri modi. Abbondano, ad esempio, le criptodefinizioni, non sempre compatibili l'una con l'altra (i mafiosi sembrano essere via via minuscoli imprenditori accomunati dalla "capacità di usare violenza", una polizia privata composta di campieri ed ex banditi, un'organizzazione che "deve mediare tra stato e criminali", un "tipo di coercizione extralegale", un "apparato d'ordine che presuppone sempre un disordine sociale e criminale da organizzare").
Inoltre, poiché a dispetto della polemica Lupo non rinuncia a prendere occasionalmente a prestito categorie proprie delle scienze sociali, finisce per farlo in modo approssimativo, ad esempio con il concetto di "internalizzazione" che non è termine generico ma parte di una teoria economica precisa. L'autore scivola poi sia verso spiegazioni funzionaliste ("un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell'organizzazione, la sua coesione, la sua capacita di trovare consenso"), sia verso l'uso di tipologie inutilmente elaborate (la distinzione tra 'power syndicate' e 'enterprise syndicate' ne è un esempio), laddove una maggiore attenzione ai fini e alle strategie degli attori avrebbe fornito soluzioni coerenti e parsimoniose. Queste difficoltà, che appannano l'indubbio valore dell'opera, dispiacciono tanto di più proprio se considerate alla luce delle potenzialità offerte dalla ricchezza e dal respiro del materiale presentato.

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Conosci l'autore

Salvatore Lupo

Nato a Siena nel 1951, è ordinario di Storia contemporanea all'Università di Palermo e presidente dell'Imes (Istituto Meridionale di Storia e Scienze sociali) di Catania. Lupo è uno dei più quotati studiosi della mafia, autore di numerose pubblicazioni sul fenomeno criminoso; grazie al suo testo "Quando la mafia trovò l'America" ha vinto, nel 2009, il premio letterario Vitaliano Brancati. Tra le sue opere: "Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri" (1993), "Andreotti, la magia, la storia d'Italia" (1996), "Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica" (2004), "Che cos'è la mafia. Sciascia e Andreotti, l'antimafia e la politica" (2007), "L'unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile (2011), tutte pubblicate...

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