Storia della letteratura italiana. Vol. 9: Il Novecento

recensioni di Merola, N. L'Indice del 2000, n. 11

Conclusa con il volume dedicato al Novecento la rituale ricognizione di autori e movimenti, la Storia della letteratura italiana diretta da Enrico Malato e pubblicata da Salerno si accinge a proporre una serie di approfondimenti tematici (dalla Tradizione dei testi alla Critica letteraria alla Bibliografia) che, contraddicendo l'understatement di una rubricazione complessiva come "Appendice", innalzeranno il numero dei volumi dagli attuali nove a quattordici e porranno l'opera tra le ammiraglie del settore.
Per un giudizio definitivo sarà bene attendere l'uscita di questo cospicuo supplemento e verificare nella consultazione metodica dei volumi già usciti la tenuta delle singole linee interpretative e del disegno d'insieme. Intanto non si può non raccogliere l'invito a un bilancio provvisorio che il direttore dell'opera ci rivolge sia in prima persona, in un'appassionata premessa, sia per l'interposta, indiscussa autorevolezza di Cesare Segre, autore appunto delle Note per un bilancio del Novecento che, all'altro capo del volume, suonano una musica diversa, anche solo perché non si cimentano con l'intero svolgimento della nostra storia letteraria, ma prendono atto della sua sopraggiunta inadeguatezza nei confronti delle altre letterature e rispetto ai compiti che le ha riservato "il secolo più tragico".
Se immaginiamo Il Novecento di Malato come la distanza tra le due prospettive, e questa distanza come la risultante del confronto tra il compiacimento per il lungo tragitto compiuto, dall'opera e dalla tradizione che essa celebra, e lo sconforto per uno spettacolo di decadenza che si esprime come incontenibile esuberanza di idee opere autori e persino istituzioni e si sconta attraverso la paradossale estraneità di ciò che dovrebbe esserci più vicino, ci troviamo forse nelle condizioni migliori per cogliere non solo il senso complessivo dell'iniziativa, ma anche le ragioni per cui non riusciremo a chiudere tanto facilmente i conti con quello che continua a essere il nostro secolo.
Il nono volume di questa Storia della letteratura italiana rimane fedele a una architettura che dà insieme un'idea di linearità e robustezza e di rigidità. Aprono tre ampi capitoli storico-culturali, il primo dei quali anzi è storico tout court (di Luigi Mascilli Migliorini; gli altri, di inquadramento culturale europeo e italiano, sono di Franco Restaino); segue un capitolo dedicato da Maria Antonietta Grignani all'"uso della lingua", e solo a pagina 287 (ma su un totale di oltre millecinquecento) si può gettare uno sguardo sulla materia specifica del volume, nel primo dei capitoli panoramici ("dal primo dopoguerra alla seconda guerra mondiale"). Di queste panoramiche, ne vengono offerte altre tre, dovute a Eugenio Ragni, già autore di quella appena menzionata, ora in collaborazione con Toni Iermano, e a Giuseppe Leonelli, su prosatori e narratori "del pieno e del secondo Novecento", sui corrispondenti poeti e sugli "scrittori dell'ultimo Novecento", mentre le rimanenti hanno un rango diverso, perché sono settoriali (poesia dialettale, teatro, letteratura e ideologie: Luigi Reina, Siro Ferrone e Teresa Megale, ancora Leonelli). Sono titolari di un capitolo monografico, a opera rispettivamente degli specialisti Giovanna Ioli, Emilio Manzotti e Giuseppe Zaccaria, solo Montale, Gadda e Calvino, mentre da Stefano Pavarini sono accorpati sotto l'egida - e il dichiarato pretesto - dell'ermetismo Saba, Ungaretti e Quasimodo, che però hanno almeno il nome in esponente.
A parte la qualità dei contributi, che sono sempre aggiornati e attendibili e talora felicemente ispirati, non passa inosservato il rivelatore iconismo del volume, che attraverso il prevalere degli spazi comuni e la sua prediletta costruzione a grappolo tende a fornire del Novecento una prima, più estrinseca e decisiva rappresentazione, sostanzialmente denigratoria, in sintonia con il popolare scetticismo che trova il Novecento troppo pieno di scrittori. Non staremmo perciò a lamentare che ancora una volta esca ridimensionato un autore come Moravia, che si potrà non amare ma di cui è difficile ignorare l'importanza e la durata, né che seguano il suo destino Elsa Morante e Pasolini. Ma che i singoli scrittori trovino un limite piuttosto che un'illuminazione nei confronti d'ufficio ai quali vengono chiamati dentro gli spazi loro concessi, così come al secolo non si perdona la sua specificità democratica e multimediale. Un cenno particolare meritano anche per questo sia la proposta del tutto condivisibile, ma da argomentare e, vorremmo dire, da far respirare, di Manzotti, che vede nel Pasticciaccio gaddiano il libro riassuntivo di tutto il secolo, sia quella, meno traducibile in una formula, ma ugualmente importante, di Giovanna Ioli, che avvia una specie di laicizzazione - ma non l'ennesima revisione - del mito critico di Montale.