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Storia della letteratura italiana. Vol. 5: La fine del Cinquecento e il Seicento. - copertina
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Dettagli

1997
1 settembre 1997
Libro universitario
XII-1208 p., ill. , Rilegato
9788884022196

Voce della critica


recensione di Patrizi, G., L'Indice 1998, n. 4

La pubblicazione del quinto volume della "Storia della letteratura italiana" edita dalla Salerno, sotto la direzione di Enrico Malato, offre lo spunto per qualche riflessione ulteriore sul fenomeno che sembra caratterizzare i nostri studi letterari in questa fine secolo: la produzione quanto mai intensa di opere storiografiche dedicate alle vicende letterarie, secondo prospettive che possono variare da una diacronia più o meno complessa a un'organizzazione per temi o per problemi o per generi del discorso storico, con esiti che alternano originalità a frammentarietà, efficacia analitica a carenza di sintesi, di visione globale. In particolare, le opere che, come questa della Salerno, ripropongono il tradizionale schema scandito per secoli suggeriscono la riflessione intorno alle possibilità della storiografia di fine Novecento di offrire un disegno compiuto della tradizione che abbia anche un senso culturale preciso e non meramente commemorativo.
Se si scorre l'indice dei due volumi - il quarto e il quinto - che offrono uno sguardo esemplarmente ricco sull'attività letteraria nelle epoche in cui si volge il passaggio dall'umanesimo classicistico al secentismo barocco, si colgono subito le novità di prospettiva, pur all'interno di un'architettura nota e consolidata. Si parte, nel quarto volume, da un quadro storico-politico e di storia intellettuale (scienza, filosofia, lingua), da cui si possono ricavare i parametri generali - sia teorici che pragmatici - per inquadrare le esperienze creative (a cura di Galasso e Ingegneri). Seguono alcuni medaglioni che fissano le personalità di maggior rilievo, dall'Ariosto di Ferroni all'Aretino di Larivaille; quindi la ricostruzione della genesi e della diffusione dei modelli della cultura classicistica, da Bembo a Castiglione (Fedi), e delle esperienze degli anticlassicisti, da Folengo a Berni (Paccagnella) alle peculiarità di classicismi locali (romano e veneto, soprattutto nell'indagine di Tateo), alla trattazione dei generi (poesia lirica, epica, novella, teatro, storiografia).
Nel quinto volume, lo schema si ripropone: il punto di partenza è ancora quello di uno scenario storico molto dettagliato in cui collocare gli snodi della radicale trasformazione dei valori e delle pratiche letterarie nel XVII secolo, tra Controriforma, crisi della cultura umanistica e revisionismi linguistici e filosofici. Laura Barletta, Saverio Ricci e Francesco Tateo ridisegnano con grande ricchezza di particolari il nesso tra i mutamenti culturali di più ampia portata e le innovazioni istituzionali, dalle accademie alle università, dall'educazione religiosa alle nuove forme di professionalizzazione del lavoro intellettuale. Se da un lato si disegna una mappa ben precisa dei nuovi saperi nati dalle scoperte geografiche e scientifiche (Ferdinando Abbri), dall'altro si sottolineano i profondi legami che collegano la ristrutturazione di categorie, che nel secolo precedente erano state egemoni (ad esempio, quelle della politica), secondo i principi della morale e della religione, all'affermazione di una "cultura" dell'assolutismo. L'esempio della Spagna - studiata da Galasso - è emblematico per i fittissimi legami che propone tra teoria politica, cultura, lingua e comportamento: da un lato le grandi ristrutturazioni e trasformazioni economiche; dall'altro le epoche della cultura scandite dalle categorie del barocco e del rococò, dalla "querelle des anciens et des modernes" (secondo il disegno presentato nel bel capitolo di Battistini), dall'affermarsi dei linguaggi scientifici, dalla riformulazione degli statuti storiografici, quale realizza Paolo Sarpi: vale a dire la scansione che deriva dalla consapevolezza di una tradizione "moderna" che si affermava alle spalle dell'obsolescenza dell'universo classicista.
Lo scenario rinnovato delle vicende intellettuali, così disegnato, consente una riformulazione anche del rapporto dialetto-lingua (basti pensare alla complessità delle esperienze linguistiche nell'idioma del Basile) e quindi della relazione centro-periferia, illustrata con estrema precisione dal capitolo che Lina Bolzoni ha dedicato a Tommaso Campanella, dove l'origine calabrese del filosofo fornisce una delle chiavi per definirne l'originalità del pensiero e la forza retorica delle argomentazioni.
Una simile organizzazione del discorso storiografico è da confrontare con le scansioni e le sintesi che offrono altre storie letterarie, parallele e contemporanee, dal Cinquecento della Utet, scritto da Rinaldi e Guglielminetti, a quello di Ferroni, a quello articolato per generi da Brioschi e Di Girolamo per la Bollati Boringhieri, infine a quello disseminato nei temi, nei problemi, nelle vicende storico-geografiche della "Letteratura italiana" einaudiana, curata da Asor Rosa. Ne emergono prospettive che rimandano a problemi comuni: quelli che attraversano sia lo studio delle retoriche che quello dei centri culturali e politici, la definizione dei canoni - classico e anticlassico - come il racconto delle biografie degli intellettuali, la narrazione delle vicende delle forme e dei linguaggi come la proiezione degli eventi politici e militari sulle esperienze creative, il disegno della trasformazione dei metodi della didattica e dello studio accademico e la ricognizione degli spazi deputati all'attività intellettuale e sociale; insomma tutti quei "tagli" che consentono di articolare l'immagine di questi secoli, al di là dei luoghi comuni che per tanto tempo hanno accompagnato un lavoro di storicizzazione.
Dal topos della cultura rinascimentale come un universo classicistico unitario, in cui gli scarti dalla norma erano registrabili in termini di differenza di valore e risorse linguistico-espressive; all'altro topos, relativo alla cultura barocca come grande laboratorio di forme in cui si consuma il distacco dalla problematica umanistica e dalla rappresentatività storico-sociale. E ancora il topos di una celebrazione dell'antico che prelude all'apertura definitiva verso i temi e le tensioni del moderno. Anche su questo punto - l'intreccio, più che il conflitto, tra nuovo e antico, tra coscienza della continuità e della rottura - la storiografia di questa fine secolo sembra convenire nel recepimento della prospettiva che fu disegnata da Curtius e ripresa, con molti aggiustamenti, da tanti altri: la continuità di una cultura classica che, attraverso i secoli, si propone come chiave di organizzazione e interpretazione delle esperienze individuali e collettive. Ma anche il classico come grande repertorio di forme e di temi, di modi di pensare la letteratura, di elaborarne teorie e metodi.
In questa "fin-de-siècle" in cui sembra difficile elaborare qualsiasi teoria "forte" della letteratura e della storiografia letteraria, ma che pure mantiene viva la richiesta di un ripensamento della tradizione e di una nuova razionalizzazione degli eventi, la riflessione sul Rinascimento si fissa su una pluralità di modelli e di linguaggi, quelli che si intrecciarono per far intravedere un nuovo mondo e una nuova cultura, quel Moderno che della pluralità fece una chiave drammatica e necessaria.

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