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scheda di Giuffredi, M., L'Indice 1995, n. 6
Quale tipo di rappresentazione può definirsi caricaturale e quale grottesca? Questo interrogativo che ha appassionato teorici dell'arte secenteschi come Mosini e Baldinucci per riproporsi durante l'Ottocento e il Novecento rispettivamente con Baudelaire e Freud, sembra diventare quasi del tutto irrilevante in questa "Storia della caricatura e del grottesco" di Thomas Wright. Pubblicata per la prima volta con notevole successo nel 1864, l'opera è stata ora tradotta in un volume che presenta soltanto quattordici (dall'antichità al medioevo) dei ventotto capitoli dell'edizione originale, e che - ce lo auguriamo malgrado nel libro non ci siano indicazioni in proposito - dovrebbe essere seguito da un secondo volume (dal medioevo al Settecento). L'assenza di una discussione teorica preliminare sulla caricatura deriva probabilmente dalla formazione culturale di Thomas Wright, prima di tutto archeologo erudito, cofondatore della Società archeologica inglese, considerato un'autorità nell'ambito della ricerca bibliografica del tempo. All'inizio del primo capitolo egli dichiara di voler tralasciare la "filosofia" per poter tracciare più liberamente una "storia". Ed è all'interno di questo ordinamento cronologico che Wright dispiega una tendenza spiccatamente classificatoria, repertoriale, tipicamente ottocentesca, che deriva da una matrice più iconografica che iconologica, più descrittiva che interpretativa. Il risultato è un panorama "dilatato" in cui rientrano molte raffigurazioni che la storia dell'arte successiva non ha considerato n‚ caricature n‚ esempi di grottesco, bensì "capricci", o "ritratti realistici", o "scene di genere". Wright comprende nella sfera del comico anche le cosiddette "caricature involontarie" cioè quelle rappresentazioni nate con una funzione diversa e diventate comiche soltanto in un secondo tempo. Ne sono un esempio, alla fine del IX capitolo, le rappresentazioni letterali di alcune metafore bibliche. Questo allargamento continuo della prospettiva rende talvolta difficile una distinzione chiara tra caricatura e grottesco, e, più in generale, l'individuazione di un unico filo conduttore. Troviamo piuttosto diversi argomenti, o temi, che vengono intrecciati, sovrapposti, segmentati, lungo tutto il corso del libro. Per esempio il tema del buffone e dei suoi antenati istrioni, mimi, prestigiatori; menestrelli, giullari, figure intorno alle quali si concentra forse il maggior numero di documenti letterari e di motivi iconografici.
L'apparato illustrativo disegnato e inciso da Fairhol, nonostante derivi dalle fonti più disparate, possiede una rassicurante omogeneità e riflette in qualche modo lo spirito del testo: è chiaro, allettante, perfettamente leggibile, ma talvolta pericolosamente falsificatorio. Se quindi è consigliabile accostarsi a quest'opera con le dovute cautele, è innegabile che essa possieda diversi elementi di indubbia qualità e originalità, come le frequenti annotazioni erudite, le rare indicazioni bibliografiche, le interessanti ipotesi di filiazione sia tra Oriente e Occidente, sia tra antichità e medioevo.
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