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Storia dell'architettura italiana. Il secondo Novecento (1945-1996) - copertina
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Storia dell'architettura italiana. Il secondo Novecento (1945-1996) - copertina

Dettagli

1997
1 gennaio 1997
520 p., ill.
9788843548958

Voce della critica


recensione di Valle, P., L'Indice 1998, n. 8

Con il volume sulle vicende dell'architettura italiana dal 1945 a oggi si inaugura questa nuova grande opera di Electa, curata da Francesco Dal Co, storico formatosi alla scuola di Manfredo Tafuri e oggi direttore di "Casabella".
L'organizzazione dei temi segue una divisione in due parti principali. La prima, "Ambienti, città, regioni, protagonisti", analizza l'architettura e l'urbanistica secondo aree geografiche, con capitoli mirati su alcune città (Milano, Venezia, Torino e Genova) e altri più generali che raggruppano contesti molto diversi tra loro (il "resto" dell'Italia viene infatti diviso in due ambiti con Toscana, Emilia-Romagna e Marche da un lato, Roma, Napoli e la Sicilia dall'altro). La seconda parte, "Progetti, teorie, esperienze, problemi", si articola in discipline e tematiche di carattere generale: teoria, costruzione, ruolo professionale dell'architetto, urbanistica, leggi, restauro, allestimento di mostre, museografia e pubblicistica di settore.
Nonostante la competenza di molti autori dei contributi, la parcellizzazione dell'architettura italiana operata da Dal Co secondo divisioni geografiche o disciplinari presenta qualche incongruenza. Tutto il libro è infatti un dispiegarsi di narrazioni parallele: non emerge un metodo d'indagine critico comune ai diversi autori che permetta di operare confronti incrociati tra i vari argomenti trattati.
Nella prima parte, le analisi per città e regioni riferiscono figure professionali e movimenti a situazioni locali, omettendo però di metterle in rapporto alle tematiche emerse dal dibattito architettonico a livello nazionale. Vengono quindi poste sullo stesso piano poetiche di progettisti brillanti ma legati a contesti isolati e idee che hanno invece influenzato l'evolversi dell'architettura italiana. L'opera costruita di alcuni maestri come Saverio Muratori o Aldo Rossi viene presentata come consequenziale all'evoluzione di una determinata città ed è quindi analizzata separatamente dalla loro elaborazione teorica personale. Emergono gli architetti che hanno operato continuativamente in uno stesso contesto, mentre coloro che hanno costruito in città diverse vengono "esplosi" e dispersi in diversi capitoli. Tuttavia, a parte le già note differenze tra tendenze locali (tra "Scuola Romana" e "Razionalismo Milanese" ad esempio), i temi più generali di gestione dello sviluppo delle città ricorrono in contesti diversi e le medesime affermazioni si ripetono nei vari capitoli. La brevità della trattazione impone agli autori conclusioni che spesso rischiano di essere generiche: il linguaggio può solo elencare e spiegare, mai porre tesi che vengano sviluppate con un'indagine critica. Costretti a condensare personaggi ed eventi, gli autori ricorrono a "ismi" oppure avanzano apprezzamenti senza indicarne le ragioni. A farne le spese non sono solo le idee ma gli edifici stessi di cui difficilmente si riesce a dare una descrizione che penetri quell'intreccio tra dimensione topologica, spaziale, costruttiva, teorica e sociale indissolubilmente connesse in ogni realizzazione architettonica. Fanno eccezione alcune analisi più estese compiute da Claudia Conforti nel capitolo su Roma e il Sud e da Amedeo Belluzzi in quello su Venezia. Non casualmente Belluzzi e Conforti, nel loro libro "Architettura italiana 1944-84", edito quindici anni fa (Laterza; ripubblicato nel 1994 in edizione riveduta e ampliata), avevano deciso di operare una selezione di edifici paradigmatici e di trattarli in una serie di schede specifiche, una pratica esemplare che qui non trova spazio.
Quali sono i temi generali affrontati nel dibattito e nelle ricerche degli architetti italiani del dopoguerra? L'introduzione di Dal Co cita l'emergere di una presa di coscienza del ruolo critico dell'architettura alla fine degli anni cinquanta dopo gli anni della ricostruzione postbellica, ma non procede poi ad analizzarne l'evoluzione. Seguendo l'ordine del libro, l'argomento viene trattato solo all'inizio della seconda parte. Dopo 240 pagine si approda infatti a "La "teoresi" del progetto e il ruolo dei Maestri" di Massimo Canzian. Il saggio inizia con una trattazione del significato del progetto in architettura, accennando in termini molto generali alla sua trasformazione da atto totalizzante a processo di indagine senza risposte assolute nell'architettura italiana recente. Ma occorrerebbe una trattazione ben più esauriente per indagare come questo tema si declini nelle molteplici teorie emerse negli ultimi cinquant'anni. Privo di riferimenti precisi all'alternarsi delle diverse posizioni e a esperienze specifiche (scritti, progetti o edifici) che hanno assunto un ruolo di verifica delle idee, il saggio di Canzian rimane isolato, un frammento autonomo che non si pone in relazione con gli altri capitoli. Così denunciando la mancanza di un saggio centrale che, nell'economia generale di questo ottavo volume, illustri quali siano state le linee principali del dibattito architettonico in Italia e che aiuti a collegare i diversi ambiti trattati nonché la teoria con la prassi. Accompagnato da pochi strumenti interpretativi, il lettore si trova in generale spaesato anche di fronte alle trattazioni specialistiche della seconda parte.
Questo volume sul secondo Novecento è dunque caratterizzato da un inquadramento rigido ma al tempo stesso frammentario, nonché dalla mancanza di un terreno di confronto tra le molteplici storie in esso contenute. Una realtà tesa tra pulsioni individuali e "appelli all'ordine", come quella del moderno in Italia, necessitava di una consapevolezza critica che individuasse degli ambiti comuni capaci di mettere in rapporto esperienze diverse. Manfredo Tafuri ci era riuscito più che egregiamente dodici anni fa nello spazio contenuto delle 230 pagine della sua fondamentale "Storia dell'architettura italiana 1944-85" (Einaudi), mettendo a confronto contesti distanti tra loro come il museo e la città per analizzare il rapporto del progetto con la storia. Forse Dal Co ha assunto il saggio del maestro come patrimonio critico di base da cui partire per una serie di ricerche particolari, e tuttavia la mancanza di qualsiasi riferimento a un metodo di indagine storica in questo nuovo libro è troppo evidente per passare inosservata. Eppure Francesco Dal Co ha affrontato a più riprese questo periodo storico: iniziando nel 1985 con un numero monografico della rivista giapponese "AÈU", proseguendo con un saggio nel volume IV della serie "Italia Moderna", per giungere nel 1990 all'"Atlante dell'architettura italiana del Novecento" redatto insieme a Giorgio Ciucci (Elemond-Electa). Quest'ultimo libro offriva un'interessante antologia di scritti dei principali protagonisti dell'architettura italiana accomunandoli secondo argomenti teorici che mettevano a confronto periodi e luoghi diversi mostrando insospettabili affinità tra posizioni ritenute distanti. Perché non proseguire questa linea critica invece di operare suddivisioni generiche, spesso estranee al materiale in questione? La domanda rimane aperta e la "Storia dell'architettura italiana", "Il secondo Novecento" rinvia il problema del rapporto tra ricerca storica e critica contemporanea a future indagini che, senza categorizzazioni forzate, siano capaci di esplorare l'universo in continua evoluzione dell'architettura.

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