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Stefano Tumidei. Studi sulla pittura in Emilia e in Romagna. Da Melozzo a Federico Zuccari. 1987-2008 - copertina
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2011
1 gennaio 2011
724 p., ill. , Rilegato lusso
9788889706985

Voce della critica

  Il volume è il primo di una serie di tre che raccoglieranno la produzione scientifica di Stefano Tumidei (1962-2008); una bibliografia completa dell'autore precede i testi e dà conto della ricchezza e della varietà delle sue ricerche preannunciando quanto sarà raccolto nei prossimi tomi. È questo un atto di omaggio postumo in uso per i ricercatori considerati significativi nello sviluppo della disciplina per rendere più facilmente consultabile il loro lavoro. I lettori che con gli scritti di Tumidei hanno poca familiarità potranno constatare quanto a ragione l'omaggio sia meritato, mentre quanti li hanno già praticati potranno riallacciare un dialogo fruttuoso, seppure con l'amarezza per essere arrivato, questo stesso omaggio, di gran lunga troppo presto. I curatori si sono dedicati alla confezione del volume con evidente partecipazione, ma anche con attenta disciplina: fin dalla copertina, compostamente elegante nel bianco e nero di una vecchia fotografia (un angelo di Melozzo, naturalmente), nella nitida grafica del volume, dove il testo è impaginato in uno spazio agevole alla lettura, e ancora nell'apparato illustrativo di ottima qualità aggiornato tutte le volte che sia stato possibile. Venendo ai testi, altrettanto felice è la scelta di non ordinare i lavori in ordine cronologico, come di solito succede in queste raccolte, o per genere (saggi, interventi ai convegni, schede di catalogo, recensioni), ma di rispettare i nessi tematici e la sequenza degli argomenti. Nonostante qualche lievissima discrasia di opinioni critiche su un medesimo argomento che questa disposizione produce, naturale nell'ininterrotto lavorio di un ventennio, la compattezza della narrazione storica acquista un'evidenza immediata: anche per chi aveva letto questi scritti nelle sedi originarie sarà sorprendente scoprire il flusso continuo e coerente della riflessione critica e insieme l'articolazione a tutto campo del lavoro esegetico. Nessun approccio metodologico è tralasciato, dalla pura filologia visiva alle fonti documentarie, letterarie, periegetiche, dalla storia collezionistica all'analisi iconografica, con una consapevolezza che fa di ognuno di questi strumenti un mezzo dell'analisi storica e mai un fine. Questa sequenza di studi compone così una veridica storia della pittura nelle Romagne, cerniera territoriale affatto omogenea dal punto di vista politico, economico e ovviamente culturale, trascorsa da influenze diverse, dalla vicina Bologna e da Firenze e poi da Roma e da Venezia. Tumidei, che fu di natali forlivesi, costruisce questa storia con una lucidità per nulla consolatoria ed estranea a qualsiasi inflessione campanilistica: questo, che è uno dei molti pregi del suo lavoro, è anche segno di vero amore per la sua terra. Così, uno dei saggi più belli è quello estratto dal catalogo della mostra su Francesco Menzocchi (2003) che racconta lo spegnersi a Forlì, con l'ultimo pittore grande e di tenuta ancora extraregionale, della fervida stagione rinascimentale inaugurata nel segno di Melozzo. Il profondo sforzo critico compiuto su quest'ultimo, la sua posizione storica, la sua bottega, costituisce il nerbo delle ricerche di Tumidei. L'assestamento cronologico e interpretativo dell'Ambrosi (dall'abside dei Santi Apostoli nei primi anni settanta fino al manifesto della Biblioteca vaticana, a Loreto, e infine, in patria, a Forlì) permette una lettura certa del momento più felice dell'arte romagnola, completata e arricchita da ricerche solo apparentemente collaterali, come la recensione-saggio su Antoniazzo Romano, e proseguita dalla messa a fuoco dei comprimari locali e di "Marco di Melozzo", cioè del Palmezzano. Un capitolo a parte è quello relativo a Ferrara, sulla quale Tumidei non ha purtroppo avuto il tempo di elaborare le molte conoscenze e le molte idee rimaste nei ricchissimi quaderni d'appunti. Il saggio sui fratelli Dossi al Buonconsiglio, infatti, ha un respiro che esula dallo specialismo della storia dell'arte per divenire un capitolo significativo di storia della cultura cortigiana nell'Italia del Cinquecento. A ricordare, infine, "l'occhio" dello studioso e i suoi molti riconoscimenti fuori contesto, si vuole citare almeno quello di un disegno già attribuito al Moncalvo, artista piemontese di fine Cinquecento, e riconosciuto a Fra Bartolomeo, gettando nuova luce sulla presenza di opere del domenicano a nord degli Appennini. Completa il libro un indice dei nomi quanto mai puntuale, una fatica non piccola per la quale si deve, ancora una volta, essere grati ai curatori: nessun osservatorio permette di verificare meglio, a colpo d'occhio, la quantità di materiale trattato dall'autore che questo libro consacra, se ce ne fosse bisogno, come uno dei migliori storici dell'arte a cavaliere tra il secolo passato e quello attuale. Matteo Ceriana

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