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Lo stato introvabile. Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane - Sabino Cassese - copertina
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Lo stato introvabile. Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane - Sabino Cassese - copertina
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Dettagli

1998
15 novembre 1998
91 p.
9788879893787

Voce della critica


recensione di Bobbio, L., L'Indice 1998, n. 5

Sabino Cassese prende le mosse dagli interrogativi che si aprono dopo il successo italiano in Europa e mette il dito su una questione cruciale di cui tutti noi abbiamo una qualche coscienza anche se spesso tendiamo a relegarla in un angolo perché ci appare troppo ingombrante. Si tratta di quello che Cassese definisce i "livelli di statualità", ossia il divario - per non dire il baratro - che separa il nostro stato da quello dei nostri partner europei.
Il pregio fondamentale del saggio di Cassese consiste nella sua capacità di guardare alle radici di questo "dislivello". I difetti dello Stato italiano, che ne fanno oggi uno "stato introvabile", costituiscono infatti un marchio originario. Lo Stato si costituì nel clima del liberalismo autoritario di fine Ottocento all'insegna di un paradosso. Nacque debole e reagì alla propria debolezza acquisendo poteri spropositati. Alla pubblica amministrazione furono conferiti privilegi incomparabili rispetto agli altri paesi europei. Fu negata ogni forma di "cittadinanza amministrativa". Fu elaborata da parte dei giuristi una concezione assoluta della sovranità. Gradatamente lo Stato finì per inglobare molte espressioni della società civile (molto prima che si cominciasse a parlare dello Stato sociale). Sono esemplari le vicende di associazioni di privati cittadini come il comitato olimpico, il club degli automobilisti o gli ordini professionali che nella prima metà del secolo furono attratte nell'orbita dello Stato e trasformate in enti pubblici. Ma la crescente potenza dello Stato si accompagnò a una crescente debolezza. Alla fine ci troviamo di fronte a uno Stato che "si ingerisce in ogni cosa, senza, poi, riuscire a far valere gli interessi pubblici che motivano tale ingerenza".
C'era da un lato il modello" étatiste" francese basato su una burocrazia professionale e coesa e, dall'altro, il modello inglese della "statess society". L'Italia inseguì il primo in modo superficiale, accentuandone i tratti autoritari e pervasivi, guardò spesso al secondo senza riuscire a innestare nel proprio ordinamento quei diritti di cittadinanza amministrativa che esso proponeva.
Il quadro tracciato da Cassese appare amaro e sconsolante. Quel marchio originario pesa ancora oggi e l'età repubblicana non ha fatto che accentuarne gli aspetti negativi attraverso la continua dilatazione di uno Stato onnipresente e permeabile. Alla fine della lettura si può avere l'impressione che il saggio di Cassese appartenga a un genere letterario molto frequentato nel nostro paese da parte di intellettuali esterofili: quello in cui la denuncia degli abissi che ci separano dagli altri paesi si accompagna a una contemplazione inorridita del baratro e non lascia intravedere alcuna via di scampo. Ma sapendo che Sabino Cassese è stato il più audace e fermo riformatore della pubblica amministrazione che l'Italia abbia mai avuto, tale rimprovero appare fuor di luogo. Il saggio si configura piuttosto come la "pars destruens", che segue (insolitamente) quella" pars construens "che lo stesso Cassese, prima come studioso, poi come ministro e poi nuovamente come studioso, ha già ampiamente praticato, più di chiunque altro.

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La recensione di IBS

Tradizione e ancoraggio dello Stato, suo ruolo rispetto al cittadino, distribuzione del potere di stabilire il diritto, rapporto dello Stato con la società e l'economia, privilegi dell'amministrazione e sua abilità nel valersene, peso del centro rispetto alle periferie: questi sono i fattori che contribuiscono alla formazione delle nazioni moderne e, in particolare, della Francia e del Regno Unito.
L'Italia non è mai riuscita a raggiungere il modello francese, che tutte le circostanze storiche la spingevano a seguire, ed è sempre stata troppo lontana da quello inglese, al quale pure una parte cospicua della dirigenza politica ha guardato con favore. In questo senso, lo Stato italiano è un'anomalia, perché è rimasto a metà del passaggio verso la modernizzazione delle sue istituzioni.L'Italia si avvia, ora, raggiunti i parametri fissati nel 1992, ad entrare nell'Unione monetaria europea. La deprecatio temporis, la sfiducia degli italiani nei confronti delle proprie istituzioni, la consapevolezza - diffusa fin dall'Ottocento - del ritardo italiano e della maggiore maturità di Francia e Regno Unito hanno agito come molla potente per il risanamento finanziario. Ma ad entrare nell'Unione è uno Stato che rimane ambivalente, metà sviluppato, metà arretrato; è ancora dualistico, autoritario e liberale; e soprattutto, si ingerisce in ogni cosa, senza poi riuscire a far valere gli interessi pubblici che motivano tale ingerenza.

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Conosci l'autore

Sabino Cassese

1935, Atripalda

È professore alla School of Government della Luiss e alla Católica Global School of Law di Lisbona. È stato professore nelle università di Urbino, di Napoli, di Roma e alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha inoltre insegnato alla Law School della New York University e al Master of Public Affairs dell'Institut d'études politiques di Parigi. È stato ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi e giudice della Corte costituzionale. Ha pubblicato, di recente, Governare gli italiani. Storia dello Stato (2014), Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale (2015), Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati? (2016), La democrazia e i suoi limiti (2017).

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