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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2018
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Dopo quattordici anni dal suo esordio letterario con "La coinquilina scalza", libro contraddistinto da una febbricitante tensione amorosa, la cui originalità tutta adolescenziale e a dir poco coraggiosa (piena di slanci metaforici e di innovativi accenti) ha dato il la a una modalità innata di fare poesia tutta sua e mai intrapresa prima (almeno con tale potenza esperienziale e con tale singolarità stilistica), carico di visioni improvvise, come toccate con mano e subito riportate obliquamente in recinti metrici limitati e chiusi; Isabella Leardini, appunto, ci regala un'altra preziosissima pietra di poesie, ancora più lievemente levigata, ancora più perfettamente unica. Come istantaneamente proiettati in uno spazio-tempo immobile e saldamente radicato in cielo, in "Una stagione d'aria", composto complessivamente da sei sezioni contenenti cinquantacinque poesie sospese prodigiosamente nell'aria rarefatta della vita vissuta dentro dense nuvole di incontri, ci si perde e ci si ritrova con la brutale grazia di un cacciatore di perline, di quel "tuo cuore opaco di conchiglia", del "diamante / perso nell'insalata del mercato". Sono poesie che non si lasciano agguantare nell'immediato o con superficiale facilità, tale è la loro necessità di oscurarsi a impulsi per risplendere di luce nuova e gigantesca, perché procedono al ritmo scosso di una pioggia battente che si dirada, di un fiume straripante di allucinate percezioni, di una sentenza umana che non ammette altre vie di uscita se non entrare in quel cassetto che sa ospitare gioia, se non dormire uno accanto all'altro riproducendo a memoria i battiti dei rispettivi cuori. È impossibile non rimanere incantati di fronte a versi quali "Vorrei dire che dirò per te / quel che nessuno ha detto per nessuno": Isabella ha colpito ancora (la mente, il cuore, l'anima).
Isabella Leardini ambisce a mettere in scena in questo volume non solo la sua tensione e sofferenza individuale, ma anche la condizione generazionale di tante giovani donne italiane, bloccate tra un’educazione tradizionale soffocante (fatta di aspirazioni limitate e di docile accettazione del proprio destino) e un desiderio di autonomia difficile da raggiungere. Le cinque sezioni che compongono “Una stagione d’aria” mantengono una coerenza stilistica rigorosa, lontana da qualsiasi volontà di sperimentalismo, e anzi fedele alla musicalità del metro più classico della nostra letteratura, l’endecasillabo, con cui si aprono quasi tutte le composizioni, richiamato anche all’interno di esse. Sembra quasi che il rumore costante del mare (così presente in questi versi) abbia dettato la sua cadenza, cullante e regolare, alla voce poetica dell’autrice. E risulta di non poco contrasto la moderazione pacata e dolce della resa formale, con la durezza rassegnata e quasi affranta del narrato. Lo scenario su cui si dipana la rappresentazione è quello della riviera romagnola, e la stagione raccontata è ovviamente quella estiva, che nell’immaginario collettivo si ricollega al turismo e alle vacanze, alla musica, ai flirt da spiaggia. Un’esistenza che mantiene in sé qualcosa di irreale e sospeso, lusinga di distrazione inesauribile, specchio di superficialità esibita, di disimpegno e piacevole futilità. Paradossalmente, invece, l’ambiente riminese diventa per chi ci vive una sorta di trappola, una condanna all’insegna della precarietà e di promesse intraviste ma continuamente rinviate. La parabola di crescita dell’autrice, la sua giovinezza sognante avviata ora a un’età adulta che inizia a tracciare un bilancio del vissuto, pare tutta racchiusa nella dimensione di un amore sofferto e deludente, di un progetto futuro mai realizzato, di un’attesa perpetua. «Come una pianta che con poca luce / sappia fiorire molte volte senza cure / ho deciso di aspettarti ancora».
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