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Il libro è un libro a tema, ovvero sviluppa un'idea dell'autore, convinto che Arrigo VII sia stato un Imperatore alla ricerca della riunificazione politica delle fazioni e addirittura del riequilibrio dei poteri universali tra Impero e Chiesa. Una lettura cui si può perdonare tutto, tranne che la sua totale e completa antistoricità. Arrigo VII non ebbe quasi nulla a che fare con tutto questo. Il volume avrebbe potuto, questo sì, portare nuova luce su un personaggio storico che per Dante rivestì un grande ruolo nello stimolare le sue illusioni e speranze, quelle stesse che alimentano quel capolavoro mirabile che è e resta la Divina Commedia. Ma senza la dovuta base storica, possiamo parlare per questo volume di un'occasione mancata.
Sarà una questione di punti di vista, ma personalmente non sono mai riuscito a vedere in Enrico VII di Lussemburgo un personaggio di grandissima rilevanza storica, rivestendo né più né meno i panni di tanti imperatori scesi in Italia per rivendicare la loro supremazia, come Federico I Hohestaufen (il Barbarossa), oppure Massimiliano I d'Asburgo. Certo, Dante Alighieri nella Divina Commedia lo colloca nel Paradiso, ma sul principio d'imparzialità del grande poeta nutro più di un dubbio, avendo inserito nell'Inferno quel sant'uomo di Celestino V. Resta comunque un fatto: da noi Enrico VII è praticamente uno sconosciuto e a ciò Tornar ha inteso porre rimedio con questo romanzo storico che parla dell'ultimo periodo di vita dell'imperatore, dall'assedio di Firenze fino alla sua morte, avvenuta presso Siena per la malaria e non, come all'epoca si mormorava e si sostiene anche nell'opera, avvelenato con un'ostia ingerita durante una Comunione. Certo l'idea di un uomo teso a porre rimedio alla miriade di staterelli italiani, riportandoli sotto l'egida imperiale, con il contemporaneo tentativo di riportare la Chiesa alla sua originaria funzione, svilendone il potere temporale, esercita un certo fascino, ma la realtà, almeno quella conosciuta, ci mostra un chiaro fallimento di una politica in funzione egemonizzante. Le pagine non mancano di motivi d'interesse, ma il personaggio non riesce a presentarsi vivo al lettore, anzi ha tutte le caratteristiche del morituro, sconfitto nelle sue mire di completo assoggettamento dell'Italia e di cessazione del potere temporale della chiesa. Certamente fu un sognatore, un uomo dotato di una profonda innata religiosità che lo induceva a fantasticare di un mondo uniformato al grande pensiero religioso e sociale di Cristo. Al riguardo le pagine che parlano di questo suo ideale sono senz'altro le migliori di tutta l'opera, e lì si avverte maggiormente la capacità dell'autore di proporci il personaggio. Da leggere, in ogni caso.
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