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Lo spazio letterario del Medioevo. Il Medioevo latino. Vol. 1/1: La produzione del testo - copertina
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Lo spazio letterario del Medioevo. Il Medioevo latino. Vol. 1/1: La produzione del testo - copertina

Descrizione


La produzione del testo mediolatino riflette i problemi di un modo nuovo – rispetto all’antichità – di concepire lo stesso testo, non meno di quelli di una lingua latina ormai diversa. Infatti più complesso – sempre rispetto all’antichità – è il significato della scrittura, e di conseguenza lo sono i modi attraverso i quali essa si esprime. E se da un lato grande importanza acquista la tradizione orale, dall’altro muta il concetto di autore: non più l’auctor che crea, sia pure ad imitazione della realtà, ma colui che riorganizza, senza pretese di originalità, tutta una serie di materiali in vista di un bonum che è impegno non solo retorico-letterario, ma soprattutto pedagogico-morale. Questo rapporto testo/ finalità comporta, fra l’altro, anche la necessità di precisare e collocare le singole produzioni letterarie all’interno di una suddivisione in generi che talvolta finisco per confondersi e appiattirsi. Quanto al latino medievale, esso appare come la lingua “mezzo-morta” e “mezzo-viva” che condiziona inevitabilmente gran parte della letteratura: la quale spesso si presenta come l’esito di «un costante sforzo di traduzione» (G. Vinay), senza peraltro che sia impedito un autentico “pensare in latino”, che offre ancora risultati di straordinario valore. Una situazione complessa che impone, per la comprensione dei meccanismi di produzione del testo mediolatino, l’adozione di nuove e più raffinate categorie di analisi e di giudizio, anche perché nel Medioevo convivono, com’è noto, varie forme ed aspetti linguistici e culturali in concorrenza, tale che il risultato finale sia la cerniera fra tradizione e innovazione.

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Dettagli

1993
1 gennaio 1993
Libro universitario
668 p., ill. , Rilegato
9788884021014

Voce della critica


recensione di Paravicini Bagliani, A., L'Indice 1993, n. 8

Una storia della letteratura latina del medioevo è possibile? Che cosa unisce Alcuino alle mistiche femminili del tardo medioevo? Ugo da San Vittore può essere considerato scrittore? E Abelardo? E Ildegarda di Bingen? Con quali criteri dobbiamo avvicinarci alle miriadi di commenti biblici o di commenti alle Sentenze che sono stati scritti nel medioevo? Come studiare una lingua - il latino medievale - che in un millennio ha conosciuto un po' tutte le situazioni culturali: il mondo bilingue delle classi dirigenziali dell'Antichità, l'analfabetismo crescente della tarda antichità e dell'alto medioevo, il passaggio dal latino scolastico al latino letterario degli umanisti, e così via? Come studiare una letteratura che nell'alto medioevo è monopolio di un'aristocrazia clericale della scrittura, e nel basso medioevo entra sempre più in concorrenza con le letterature volgari?
Porre tutte queste domande, fin dal primo volume di un'opera di ampio respiro dedicata allo spazio letterario del medioevo latino, dimostra che, se la storia della letteratura latina medievale non può ancora essere scritta, la vitalità degli studi è ormai capace di imporre un'impostazione serena, aperta sui molteplici spazi in cui si mosse per circa un millennio la cultura latina medievale. Il concetto di "spazio" è comodo perché rinvia a una geografia culturale complessa, fatta di innumerevoli tipologie e momenti. È concetto giusto perché presuppone una visione storiografica di un medioevo non più monolitico ma diverso, frutto di molteplici influssi politici c sociali, intellettuali e religiosi.
Il medioevo letterario è diverso anzitutto perché ha vissuto in vario modo gli statuti della scrittura e della lettura. Per Paolo Diacono, Liutprando è eroe politico, anche se illetterato e analfabeta. Carlo Magno conosce il latino e il greco, ma non sa scrivere, anche se vuole tentare. Tra il VI e il IX secolo, la scrittura e la lettura possono sì essere strumenti di potere, ma non costituiscono necessariamente un puntello del potere in senso generale del termine. L'interesse dei re nei confronti della cultura scritta è tutto sommato moderato. La scrittura può persino essere momento di servilità.
Il cristianesimo è però religione del Verbo. Anche per questo i re dei regni "barbari" furono attratti dalla cultura scritta. Nell'Europa altomedievale la cultura antica permane in aree di resistenza, spazi privilegiati che giocano un ruolo di straordinaria importanza in termini di conservazione. Ma come interi spazi antichi si perdono, così si perdono anche intere aree di cultura scritta, la quale finisce per essere antologica, lasciando spazio al miracolo, al meraviglioso, più al simbolo che all'oggetto. Il successo di Marziano Capella è spiegabile proprio per questa straordinaria mescolanza tra 'fabula' ed esposizione delle sette arti liberali, tra l'immaginario e l'enciclopedico.
Saper leggere e saper scrivere sono funzioni circoscritte a categorie sociali e a culture precise, non affatto accessibili a tutte le classi dirigenti prima del XIII secolo. La parola scritta ha un peso culturale diverso a seconda che sia considerata da chi la scrive e da chi la legge. Lettura e scrittura esigono gradi e livelli diversi di competenza e di perizia. Se la scrittura presuppone sempre in qualche modo la lettura, non vale l'inverso. La scrittura è sovente fatto collettivo (si pensi agli 'scriptoria' monastici), ma lo è ancor più la lettura (celebrazioni liturgiche, lettura monastica, letture sulle piazze e così via).
Se vi è una differenza tra l'alto e il basso medioevo, ciò riguarda proprio la lettura, che soltanto negli ultimi secoli del medioevo si presenta completa di tutte e tre Ie connotazioni: di lettura pubblica (liturgica, didattica, giudiziaria), di lettura a voce bassa (la 'ruminatio': una parola letta e nello stesso tempo parlata, così tipica del mondo monastico) e di lettura privata, che permette di assimilare e di possedere la scrittura come atto intellettuale autonomo. È un'evoluzione che si precisa dal XII secolo in poi con il modificarsi delle strutture di insegnamento, e che fa parte di quel movimento dal privato al pubblico, dagli spazi pubblici agli spazi privati, che sembra sottendere l'intera vicenda culturale (e sociale) bassomedievale. Sotto questo aspetto la corrispondenza, cronologica oltre che tematica, con gli studi più agguerriti sulla 'vie privée' è perfetta.
Al privato si giungerà anche per altre vie. Tra l'alto e il basso medioevo muta anche lo statuto del copista, che è monaco-scriba nel mondo monastico, chiamato a svolgere un impegno pio, degno di ricompensa celeste; mentre il copista del basso medioevo è professionista che opera in 'ateliers' e botteghe private o semiprivate, in e per quei nuovi spazi culturali che sono le corti sovrane e le università. Si tratta di spazi di cultura per lo più urbani, aperti, soggetti a continui sconvolgimenti intellettuali e disciplinari. Verso la fine del medioevo e con il Rinascimento, si assiste però a una sorta di ritorno al silenzio degli 'scriptoria', che non sono più le grandi sale monastiche, ma i raccolti studioli degli umanisti, piccoli eremi ideali ricolmi di collezioni di libri, che l'iconografia libraria quattrocentesca ha reso celebri.
Tra alto e basso medioevo e tra basso medioevo e umanesimo le mutazioni sono innumerevoli. Nel campo letterario, la più importante riguarda forse l'autorità dei testi da copiare. Se nell'alto medioevo vige il principio dell'imitazione, ossia della subordinazione all''auctoritas', che è anche un modo di accettare il falso, con il preumanesimo la denuncia del principio di 'auctoritas' condurrà alla delegittimazione dei falsi; grazie al primato della filologia, ci si potrà anche permettere di denunciare opere fondamentali della Chiesa. Lorenzo Valla potrà dimostrare l'invalidità della Donazione di Costantino con criteri filologici e letterari. La preistoria della vittoria rinascimentale della filologia ha però radici antiche, ossia prettamente medievali, che partono paradossalmente dallo studio dialettico e scolastico della Bibbia. Sottomettendo la Bibbia all'analisi testuale come ogni altro libro, le scuole del XII e XIII secolo hanno contribuito a relativizzarne il valore assoluto di autorità.
Il principio di autorità è elemento fondamentale del libro universitario medievale, destinato a codificare un sapere nel modo più solenne e universale. Curiosamente, però, il libro universitario due e trecentesco elimina di fatto la partecipazione dell'autore. È un fenomeno che la riproduzione dei testi universitari con il sistema della 'pecia' non fa che accentuare. In quello stesso periodo (XIII secolo), i notai acquistano un notevole spazio di scrittura. L'autenticità della penna autografica del notaio diventa autorevole e viene riconosciuta pubblicamente. Tra il Due e Trecento, la mediazione notarile viene imposta a tutta la produzione documentaria. Ciò conduce alla supremazia di un'autografia assoluta, in contraddizione con una pratica libraria che lascia poco o quasi nessuno spazio di intervento alla mano dell'autore nel testo. Anche qui, le cose cambiano notevolmente sotto l'influsso della cultura preumanista, ossia con l'affermarsi di un mondo ancor più cosciente dell'individualità della creazione intellettuale, e che desidera lasciare tracce. Il preumanesimo riscopre il libro d'autore, completo per scrittura e per grafia. Anche questo è un nuovo spazio letterario, il cui declino inizierà soltanto con l'avvento della stampa. Ancor più che nel passato, i margini dei codici sono spazi che possono riflettere un'individualità.
Così studiata, la storia letteraria medievale assurge a osservatorio privilegiato, non solo per i fenomeni letterari e filologici in senso stretto e specifico, ma per lo studio delle società medievali 'tout court'.

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