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recensione di Ruffinatto, A., L'Indice 1989, n. 2
La generosa ospitalità di un editore come il parmense Ugo Guanda unita all'intelligente operosità di Giuseppe E. Sansone, hanno finalmente consentito al "principe dei poeti spagnoli", il toledano Garcilaso de la Vega, di riapprodare a quella cultura dalla quale, quasi cinque secoli or sono, egli aveva preso le mosse ispirandosi al Petrarca e ai petrarchisti dell'Accademia Pontaniana. Proprio a Napoli, infatti, e agli ordini del viceré don Pedro de Toledo, Garcilaso aveva affinato i suoi strumenti poetici, senza per altro trascurare il suo impegno politico e militare al servizio dell'imperatore Carlo V (alla cui causa - dopo un iniziale periodo di disaccordo - egli sacrificherà addirittura la vita nel 1536, all'età di trentacinque anni). Ma in nessun altro scrittore, come in Garcilaso, i due mondi - quello possibile della poesia e quello "reale" dell'esistenza e dell'attività professionale - si mantengono così nettamente distinti da non interagire praticamente mai. Cosa che non sfugge a Giuseppe Sansone, come risulta dal seguente rilievo collocato nelle prime battute della sua "Introduzione" "Uomo d'armi e di guerra, Garcilaso non riceve suggestioni poetiche n‚ dalle une n‚ dall'altra, apparendo sordo a qualsiasi afflato epico, quasi per una separatezza e scissione fra quella che è la propria professione col suo agire esteriore e l'intimità del proprio mondo lirico" (p. 6). E tuttavia, non credo di poter concordare pienamente con Sansone quando, poco più avanti (p. 7), egli tende ad accettare una pesante interferenza del vissuto nell'elaborazione e nello sviluppo del tessuto poetico garcilasiano. La faccenda di Isabel Freyre - dama portoghese di rara bellezza della quale Garcilaso, come il lusitano Sa de Miranda, si sarebbe perdutamente innamorato - trova sì qualche fuggevole riscontro nella biografia storica dello scrittore toledano, ma non v'è luogo del suo testo poetico ove questa presunta interferenza possa essere affermata con sicurezza. O, per meglio dire, i temi proposti dalla poesia di Garcilaso, da quello centrale dell'amore-dolore a quelli collaterali della gelosia, della memoria del tempo felice, dei pegni d'amore, del presentimento della morte e così via, appaiono troppo convenzionali e d'epoca per poter essere adattati ad una specifica situazione esistenziale. Forse, più che su Isabel Freyre, sul matrimonio di costei con un uomo di poche qualità, e sulla sua morte di parto, conviene insistere - per meglio fruire del Canzoniere di Garcilaso - sul Petrarca e sui petrarchisti, su Auzias March e, per ciò che concerne le Egloghe, sul Sannazaro, sul Tansillo, su Bernardo Tasso ed altri. Come, d'altronde, lo stesso Sansone non trascura di fare più avanti (p. 8 e segg.) esaminando in dettaglio alcuni sonetti e soffermandosi particolarmente sul modo in cui Garcilaso recepisce, elabora e trasforma il "dettato petrarchesco".
Questa è, infatti, la strada che bisogna percorrere per approdare a risultati concreti; le altre strade,quella delle parafrasi più o meno eleganti, quella della bella definizione volta a cogliere l'intima essenza quando non l'"anima" del poeta, quella delle comparazioni fine a se stesse e spesso stupidamente ancorate a giudizi di valore, queste altre strade non portano in nessun luogo, n‚ aprono spiragli utili ai fini della lettura o dell'interpretazione del testo.
Di spiragli, invece, ne apre molti Sansone: quando, in veste di traduttore, offre al pubblico italiano, per la prima volta in versione integrale, tutti i sonetti di Garcilaso, compresi i due, sicuramente apocrifi, tramandati da un codice denominato Lastanosa-Gayangos. E qui occorre lodare, da un lato, l'eccezionale competenza linguistica del traduttore e dall'altro, il coraggio delle sue scelte giacché egli non si limita a trasferire nel testo d'arrivo i contenuti semantici del dato di partenza ma ne "traduce" anche gli aspetti formali, come la misura del verso (endecasillabo) e, nei limiti del possibile, il ritmo e le rime. Un'impresa, questa, sicuramente difficile, complessa e laboriosa, ma, alla luce dei risultati conseguiti, si deve ammettere che ne valeva la pena.
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